L’uso ripetuto che ne fa la neopremier Giorgia Meloni rivela scarsa conoscenza lessicale, malafede o insuperabile attaccamento a una vecchia ideologia?
La scelta dell’uso delle parole è una funzione importante dell’intelligenza umana. Le parole sono – o dovrebbero essere – il mezzo per esprimere al meglio ciò che si vuol dire. Chi sceglie una terminologia lo sa o dovrebbe saperlo. La parola “Nazione” ricorreva immancabilmente nelle dichiarazioni, nei documenti e nelle interviste della presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e di tutti gli esponenti del suo partito, ma continua a ricorrere immancabilmente pure da quando la deputatessa è presidente del Consiglio dei ministri.
La parola compare più volte nella Costituzione vigente. È presente nell’articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Cui di recente (8 febbraio 2022) si è giustamente aggiunto un terzo comma: «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». È nell’articolo 67: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». È nell’articolo 98: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». E ricorre pure nel giuramento del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri stessi: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione». Però non si trova nel giuramento del presidente della Repubblica: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione». In realtà, Nazione, Paese, Stato, Repubblica non sono termini equivalenti. Nazione indica una comunità di persone che parlano la stessa lingua, hanno la stessa storia e la stessa cultura, gli stessi usi e tradizioni. La comunità che si chiama Nazione può non corrispondere ai confini politici di uno Stato.
Alla Nazione italiana appartengono gli italiani, gli svizzeri di lingua italiana, i sanmarinesi, così come pure gli istriani, fiumani e dalmati rimasti nelle loro terre adriatiche dopo la Seconda guerra mondiale, pur appartenendo tutti costoro a Stati diversi. Non appartengono alla Nazione italiana gli italiani di lingua tedesca dell’Alto Adige-Sud Tirolo e della Valle d’Aosta e neanche gli italiani della Slavia friulana, coloro che nel Friuli-Venezia Giulia denominiamo correntemente quanto imprecisamente sloveni. Solo per brevità mi fermo a citare le già menzionate due etnie, pur esistendo altre minoranze nazionali all’interno dello Stato italiano, anche se numericamente esigue.
Posso citare anche altri due esempi di nazionalità a noi vicine. La Nazione albanese non è racchiusa nella Repubblica albanese; è ben nota la presenza maggioritaria albanese nella ex regione serba del Kosovo, dichiaratasi Repubblica indipendente dal 2008. Una minoranza albanese è in Grecia. L’etnia magiara non è tutta compresa nei confini dell’Ungheria. Dopo la fine del Regno d’Ungheria e col trattato di pace firmato al termine della Prima guerra mondiale, l’etnia magiara è consistente all’interno della Romania e di tutti gli altri Stati confinanti. Ogni Stato europeo, nessuno escluso, ha minoranze al proprio interno di una o più nazionalità diverse da quella più numerosa. Per quanto ora ricordato, a me sembra più opportuno che un presidente del Consiglio parli di italiani – intendendo tutti i cittadini, indipendentemente dall’etnia. La presidente Meloni, tra l’altro, ha riaffermato la solidarietà italiana alla Nazione ucraina aggredita dalla Russia. Ma molteplici sono le nazionalità dello Stato ucraino (fonte: Limes, 28 aprile 2014): «La popolazione si afferma per tre quarti ucraina, per meno di un quinto russa, pur se questa peculiarissima tassonomia si svela spesso forzosa. Le esigue minoranze bielorusse, moldave, ungheresi, romene, ceche, ebraiche, greche, bulgare, tatare eccetera sono a rammentarci le sedimentazioni multietniche di questa terra di frontiera». La solidarietà più propriamente sarebbe dovuta andare a tutti gli ucraini senza impiegare una parola inappropriata, magari riferendosi allo Stato ucraino o alla Repubblica ucraina.
Allora c’è da domandarsi il perché dell’uso continuo in ogni discorso, in ogni conferenza stampa, di questa parola da parte della neopremier. Può essere ignoranza della pur macroscopica differenza con altri termini più appropriati e onnicomprensivi, come Stato (se si fa riferimento all’istituzione), come Paese (se si fa riferimento all’insieme dei cittadini), come Repubblica (se si fa riferimento alla forma dello Stato), evidentemente non monarchica. Non escludo che la militanza meno istruita ex missina ed ex Alleanza nazionale possa adoperare il termine senza sapere quanto sopra. Ma ritengo che ci sia altro. Credo che ci sia l’intenzione di utilizzare un termine che vuol essere roboante, diretto all’esaltazione della Nazione concepita nella fraseologia di destra, veterofascista e postfascista. Esso tende a rimarcare la differenza con gli altri termini, usati dai non nazionalisti, che pure sono la maggioranza degli italiani.
È una caratterizzazione del linguaggio che indica povertà, limitazione, restrizione, sopita autoesaltazione; ma ciò non è un difetto, perché è ciò che la destra è e coerentemente esprime, cioè si mostra per quel che è. Il guado del passaggio da partito nazionalista a partito conservatore probabilmente ha tralasciato questo aspetto del linguaggio; per il resto, può sembrare sufficiente allinearsi alle politiche liberiste dei poteri forti internazionali al fine di non subire lo scherzo dell’aumento dello spread che essi fecero all’inaffidabile Governo Berlusconi, lasciare la fiamma nel simbolo ma dire che il fascismo non attrae, e continuare così, puntando sulle spoglie elettorali dei forzisti (prevedo ormai pochine) e sul bofonchiare del leghismo salviniano. I costituenti usarono alcune volte il termine Nazione. Considero che allora il significato del termine fosse generale e non possedesse una semantica così delineata secondo quanto il diritto pubblico ha approfondito e spiegato e che la maturazione e diffusione della cultura politica democratica hanno fatto propria. Nell’attuale contesto non dovrebbe essere adoperato con la frequenza e l’errato significato coi quali lo fanno i nuovi governanti. Loro, però, sono forse culturalmente fermi a prima della Costituzione.
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Mauro Scarpellini
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 204, dicembre 2022)