Secondo la piattaforma Ener2Crowd i meno abbienti inquinano più dei ricchi. Ma il problema è la stessa ingiustizia sociale
Ricordate il film Brutti, sporchi e cattivi? (Italia, 1976, regia di Ettore Scola, con uno straordinario Nino Manfredi). O il detto “Sparare sulla Croce rossa”? Ebbene, è questo che potrebbe venire in mente leggendo alcuni dati elaborati da Ener2Crowd.com. Infatti la prima piattaforma in Italia di investimenti nella green economy ha calcolato che i Paesi poveri inquinano più di quelli ricchi, così come le persone meno abbienti causano immissioni di gas climalteranti maggiori rispetto a quelle di chi è più facoltoso.
Non si tratta di una novità assoluta, né di una sorpresa, in quanto da tempo le statistiche mostrano come, contrariamente alle credenze diffuse da un certo ambientalismo alla Greta, l’ex Primo Mondo, e in particolare l’Europa (solo il 9%), inquinano la Terra per una percentuale molto inferiore a nazioni in piena crescita industriale come la Cina e l’India o, considerando le emissioni pro capite, i Paesi arabi produttori di idrocarburi. Del resto, non potrebbe essere diversamente, se pensiamo che, secondo i dati del 2020, il 61% della popolazione mondiale vive in Asia (4,7 miliardi). Segue il 17% in Africa (1,3 miliardi), il 10% in Europa (750 milioni), l’8% in America Latina e Caraibi (650 milioni) e il restante 5% è distribuito tra Nord America (370 milioni) e Oceania (43 milioni). Ma Ener2Crowd.com com’è arrivata a tali conclusioni? Applicando il Coefficiente di Gini sulla diseguaglianza nella ripartizione del reddito alla distribuzione delle emissioni di anidride carbonica per fascia di ricchezza, nel nostro Paese e nel mondo.
Per quanto possa sembrare strano, l’indice di Gini (compreso tra 0 ed 1, in cui la cifra più alta indica la disuguaglianza più marcata) relativo alla ricchezza finanziaria ha lo stesso valore in Italia e nel Mondo, ovvero 0,608, rivelando una profonda disuguaglianza, conseguenza dello stesso modello economico. In Italia è invece migliore la situazione che riguarda la disuguaglianza ambientale (che è poi strettamente legata alla qualità ecologica dei servizi e dei prodotti oggetto degli scambi economici): mentre nel nostro Paese tale valore è pari a 0,230, nel mondo si attesta a 0,378. Questo vuol dire che nel nostro Paese la disuguaglianza ambientale ancora non è ai livelli di quella finanziaria, forse in parte per la possibilità, o per la necessità, di vivere una dimensione meno globalizzata e legata magari a ecosistemi di prossimità.
Ma l’aspetto più sconcertante è emerso applicando il principio di calcolo dell’Isi (Intensità sostenibile di investimento), ovvero andando a ricercare l’intensità carbonica di tali porzioni di ricchezza. Ebbene, in Italia il 50% meno abbiente possiede una ricchezza che produce 8,2 volte gli impatti ambientali negativi (in termini di emissione di CO2) del 10% più ricco, 3,6 volte quelli del 40% di mezzo e comunque 3,9 volte la media nazionale. Nel mondo la situazione è ancora peggiore: il 50% più disagiato possiede una ricchezza che produce 20 volte gli impatti ambientali negativi (in termini di emissione di anidride carbonica) dell’1% più ricco, 5 volte quelli del 49% di mezzo e comunque 7 volte la media mondiale. «Questo vuol dire solo una cosa: non solo le persone più povere sono tali da un punto di vista “monetario”, ma lo sono anche da un punto di vista “ecologico”, potendo accedere a prodotti e servizi dalle qualità ecologiche intrinseche peggiori» spiega Giorgio Mottironi, chief security officer e cofondatore di Ener2Crowd, nonché chief analyst del GreenVestingForum.it, il forum della finanza alternativa verde.
«In Italia – prosegue Mottironi – è ad esempio facile ipotizzare come il 20% di emissioni di CO2 che importiamo possano essere principalmente legate alle modalità ed abitudini di consumo del 50% più povero». In pratica, secondo l’analisi di Ener2Crowd, lo stesso modello che produce ricchezza, progresso e beni spirituali per i più ricchi, procura miseria e regresso per i più poveri. Ciò significa che non bisogna criminalizzare o emarginare i Paesi e le persone più responsabili di emissioni dannose al pianeta. Né, tanto peggio, considerare gli obiettivi ambientalisti e la lotta alla catastrofe climatica roba da ricchi o da radical chic. Nazioni e persone disagiate sono anche loro vittime; non a caso anche la loro dieta, le cure mediche, l’abbigliamento e le scelte culturali sono di qualità inferiore.
Pertanto, oltre a ristabilire la verità sull’ingiusta colpevolizzazione di aree come l’Europa, che già hanno fatto e fanno molto contro il dramma del cambiamento climatico, occorre operare affinché sulla Terra tutti abbiano da parte dei loro governi le possibilità economiche e gli strumenti adatti per difendere l’ambiente (sostenibilità demografica, efficienza nei consumi, economia circolare, coscienza ambientalista). Infatti, conclude Montironi: «Non possiamo aspettare che sia la ricchezza monetaria a redistribuirsi per far sì che le “migliori opportunità di mercato” a cui si può accedere cambino la qualità della nostra vita. Dobbiamo far sì che un nuovo modello culturale orientato alla sostenibilità retroagisca su quello economico, permettendo a chiunque di godere di una migliore “qualità ecologica” nelle proprie vite, consci della necessità che i costi di un “premium green” più innovativo – e la cui innovazione va sostenuta finanziariamente – siano scaricati su chi può effettivamente permetterseli, in attesa che vengano socialmente redistribuiti per favorire il progresso collettivo». Perché per salvare il Pianeta è indispensabile il contributo di tutti.
C. Liliana Picciotto
(LucidaMente, anno XVII, n. 196, aprile 2022)