Qualche considerazione, prendendo spunto da Un mistero parziale, di Jorge Luis Borges
«Una volta ammessa la funzione compensatrice del tango, rimane da risolvere un piccolo mistero. L’indipendenza dell’America fu, in buona parte, una realizzazione argentina; uomini argentini combatterono in lontane battaglie del continente, a Maipti, ad Ayacucho, a Junin. Vennero poi le guerre civili, la guerra del Brasile, le campagne contro Rosas e Urquiza, la guerra del Paraguay, la guerra di frontiera contro gli indios…
Il nostro passato militare è cospicuo, ma è altrettanto indiscutibile che l’argentino, che si picca d’essere coraggioso, non si identifica in esso (malgrado la preferenza che nelle scuole si dà allo studio della storia) ma piuttosto nelle ampie figure generiche del Gaucho e del Compadre. Se non mi inganno, questo tratto istintivo e paradossale ha una sua spiegazione. L’argentino si identificherebbe non già nel militare, ma nel gaucho, perché il valore di cui la tradizione orale fa campione quest’ultimo non è al servizio di alcuna causa ed è puro. Gaucho e compadre vengono considerati come dei ribelli; l’argentino, a differenza dell’americano del Nord e di quasi tutti gli europei, non si identifica con lo Stato. Ciò può attribuirsi al fatto generale che lo Stato è un’astrazione inconcepibile per lui (Nota: Lo Stato è impersonale; l’argentino sa concepire solo delle relazioni personali. Per questa ragione, per lui, rubare denaro pubblico non è un crimine. Constato una realtà, non la giustifico né la difendo); è un fatto che l’argentino è un individuo e non un cittadino. Aforismi come quello di Hegel: “Lo Stato è la realtà dell’idea morale” gli sembrano scherzi sinistri. I film elaborati a Hollywood propongono ripetutamente alla nostra ammirazione il caso di un uomo (di solito un giornalista) che cerca l’amicizia di un criminale per consegnarlo poi alla polizia; l’argentino, per il quale l’amicizia è una passione e la polizia una mafia sente che un simile “eroe” è una incomprensibile canaglia.
Sente con Don Chisciotte che “laggiù se la veda ciascuno col suo peccato” e che “non è bene che uomini d’onore siano i giustizieri di altri uomini dai quali non ricevettero danno” (Don Chisciotte, I, XXII). Più di una volta, davanti alla vana simmetria dello stile spagnolo, ho pensato che fossimo irrimediabilmente diversi dalla Spagna; queste due righe del Chisciotte sono bastate per convincermi d’essere in errore; sono come il simbolo tranquillo e segreto di una affinità. La conferma profondamente una notte della letteratura argentina: la notte disperata in cui un sergente della polizia rurale gridò che non avrebbe permesso che si compisse il delitto di uccidere un uomo coraggioso e si mise a combattere contro i suoi soldati, a fianco del disertore Martín Fierro».
(da Un mistero parziale, in Evaristo Carriego, traduzione di Vanna Brocca, Torino, Einaudi, 1972, pp. 132-133)
Jorge Luis Borges
Taluni popoli – in genere “meridionali” – sono più indisciplinati, più “incivili” degli altri. Non ritengono che si debbano rispettare le leggi, le istituzioni, in una parola, lo Stato. Tale mentalità si traduce nella corruzione più grave fino ai casi più banali (e diffusi), quali il non fare la raccolta differenziata dei rifiuti, non rispettare le file, usare il parcheggio riservato ai disabili o, addirittura, farsi rilasciare un permesso senza averne il diritto.
Ma perché avverrebbe questo?
Al riguardo avremmo potuto scomodare la sociologia, Max Weber, l’etica protestante, la facile assoluzione cattolica, ecc. Invece abbiamo preferito riportare l’intuizione racchiusa nel breve testo (Un mistero parziale, sopra riportato) del grande Jorge Luis Borges. Lo scritto è incluso nel primo dei suoi capolavori in prosa, Evaristo Carriego (1930), incentrato sulla mitica figura del poeta morto neanche trentenne e ambientato tra Ottocento e Novecento nelle periferie di Buenos Aires, tra miseria, violenza, bordelli, giocatori di carte, profumo di asado, tanghi, milonghe e fatali duelli di coltello.
È pur vero che lo scrittore argentino fa riferimento alla storia della propria patria, ma quello che egli attribuisce ai propri compatrioti credo che potremmo conferirlo senz’altro alla maggior parte dei popoli del “Sud”. E non è il solo a cogliere talune peculiarità “latine” o “ispaniche”, visto che non fa fatica, per rafforzare le proprie argomentazioni, a citare parole di Cervantes e un episodio del capolavoro epico-gauchesco di José Hernández.
Dunque, secondo Borges, alcuni popoli hanno meno senso civico perché essi non ritengono che esista un bene comune, della società, superiore a quello dei singoli elementi che la costituiscono, e non pensano che i rapporti tra le persone possano essere di tipo freddo, giuridico, “impersonale”. Come scrive Borges in una nota al testo: «Lo Stato è impersonale; l’argentino sa concepire solo delle relazioni personali». L’amicizia, il rapporto umano, interpersonale, è più importante di qualsiasi altra regola o dovere civico e sociale. Lo Stato e le sue istituzioni e gli organi (legge e forze dell’ordine comprese) vengono dopo tutto il resto…Concludendo ancora con le parole di Borges, e tanto per essere chiari: «Constato una realtà, non la giustifico né la difendo».
Le immagini: due copertine di edizioni Einaudi di Evaristo Carriego.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VI, n. 66, giugno 2011)
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