Un’interessante indagine dell’Associazione Libera Uscita affronta uno degli aspetti dell’argomento che il referendum bloccato dalla Corte costituzionale intendeva sottoporre ai cittadini
Una delle notizie che nel mese appena passato ha occupato le prime pagine dei quotidiani e ha aperto i notiziari è stata quella della decisione della Corte costituzionale sui referendum proposti dai vari comitati promotori. In particolare, lo scorso 15 febbraio la Consulta ha dichiarato inammissibile quello sulla legalizzazione dell’eutanasia [Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente)].
Tuttavia, in questo nostro articolo, non intendiamo entrare nel dibattito sulla decisione dei giudici costituzionali, quanto parlare di un’iniziativa di Libera Uscita, «Associazione laica e apartitica per il diritto a morire con dignità», che, peraltro, si è espressa fermamente, seppure con amarezza, sullo stop al referendum (vedi qui). Vogliamo invece portare alla luce e analizzare i dati emersi da un’indagine commissionata dall’associazione – in particolare su iniziativa del suo ex vicepresidente Filippo D’Ambrogi – a Pepe Research, nota società di ricerche di mercato e sociopolitiche. Il titolo dell’indagine è Consapevolezza del diritto di autodeterminazione terapeutica e orientamenti sulle scelte del proprio fine vita nella popolazione anziana italiana, durante la pandemia da Covid-19 (trovate qui le slides complete sui risultati ottenuti e qui le motivazioni dalle quali è nata la richiesta di un’indagine). Purtroppo, lo studio, molto interessante, non ha avuto la divulgazione che meritava sui grandi mass media, sicché, nel nostro piccolo, cercheremo di colmare tale vuoto.
Innanzi tutto, occorre contestualizzare il periodo nel quale è nata l’idea dell’indagine. Ci si trovava nel pieno della prima ondata della pandemia da coronavirus, in una fase durante la quale i posti in terapia intensiva – peraltro dal 1980 diminuiti di circa 2/3 per i tagli alla Sanità pubblica – erano insufficienti per l’arrivo del malati gravi di Covid, per cui era spesso applicato il triage (leggi Maria Laura Cattinari, Scegliere chi curare o far scegliere al malato? Covid-19 e autodeterminazione terapeutica). Infatti, nel pieno diritto e in applicazione della Legge 219/2017 («diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona»), Libera Uscita aveva proposto Una dichiarazione per la propria autodeterminazione terapeutica in caso di grave infezione da coronavirus. In ogni caso, il numero più alto di vittime si riscontrava (e si riscontra) tra i pazienti anziani: il che, quindi, ha rappresentato fino a oggi una costante della Covid-19.
C’era (e c’è da chiedersi) se «alcuni malati, già molto avanti negli anni o con malattie pregresse, affetti da Covid-19 nella sua forma più grave, avrebbero desiderato non essere ricoverati in terapia intensiva, bensì essere accompagnati dolcemente al decesso nel sonno mediante la sedazione palliativa profonda continua». Ma la situazione eccezionale è stata l’occasione anche per «sondare non solo il grado di consapevolezza nella popolazione anziana del diritto di autodeterminazione terapeutica sancito dalla Legge 219/2017, ma anche il suo orientamento nei confronti delle diverse opzioni di fine vita già disponibili e l’eventuale interesse per alcune forme di morte medicalmente assistita» consentite fuori dal nostro Paese. L’indagine di Pepe Research, in forma anonima, «è stata condotta con metodologia mista CATI-CAMI, cioè con interviste telefoniche a telefoni fissi e mobili, basate su un questionario strutturato in accordo con il committente, su un campione casuale stratificato per quote di 400 individui, rappresentativo della popolazione nazionale maggiore di 64 anni per genere ed area geografica» e s’è conclusa a fine luglio 2021. Ma cosa è emerso dalle risposte fornite dagli anziani contattati?
Sintetizzando molto, si può affermare che circa il 30% di loro è consapevole che la legge sancisca il diritto del paziente a essere informato sulla propria salute. Un quarto del campione, però, «non ha mai sentito parlare o non ha consapevolezza né dell’esistenza di una specifica normativa, ma nemmeno immaginava che potesse essere almeno una prassi quella di informare il paziente sulle proprie condizioni di salute o di rispettare la sua volontà di non essere informato». Inoltre, ben il 20% degli anziani ritiene che il medico debba sempre salvare la vita del paziente, senza tener conto delle sue volontà e disposizioni. Per di più, sempre un 25% di loro dichiara di non essere ben informato dal proprio medico e resta diffusa l’abitudine di “fidarsi” quasi ciecamente di lui.
Su terapia intensiva e sedazione palliativa profonda la maggior parte degli intervistati risponde di essere informata. Quasi tutti gli anziani hanno sentito parlare di testamento biologico e sanno cosa significhi la parola eutanasia. Su questa la stragrande maggioranza ritiene importante una consultazione popolare e pensa che sull’argomento la Chiesa possa esprimere la propria posizione, ma a prevalere dovrebbe essere la scelta dello Stato laico. Infine, per quanto riguarda l’emergenza Covid, molto alta è la percentuale della popolazione anziana preoccupata per sé e i propri cari, e i fattori più ansiogeni sono la perdita di memoria, di autonomia, di controllo delle situazioni. La proposta di una Dichiarazione ai curanti è generalmente molto apprezzata. Riguardo l’importanza attribuita alle proprie scelte nel fine vita, fino all’eutanasia, essa è minore tra i cattolici praticanti. In ogni caso, la morte preferita dalla maggioranza è quella improvvisa.
Certo, nel sondaggio si può notare anche qualche discrasìa tra le dichiarazioni degli intervistati, il cui 16% dichiara di aver sottoscritto delle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento), mentre i dati ufficiali affermano che solo lo 0,3% della popolazione avente diritto le ha depositate. Contraddizione che può essere spiegata in molti modi: gli intervistati ritengono Dat il fatto che abbiano dichiarato ai propri cari le proprie volontà di fine vita?; o coloro che in prevalenza hanno scelto di rispondere al sondaggio sono tra gli italiani più sensibili alla tematica, e quindi hanno maggiormente predisposto le proprie Dat?; oppure non è stato compreso bene il quesito e/o le persone intervistate non sono bene informate su cosa siano le Dat? Comunque, l’indagine è una delle poche effettuate nel nostro Paese e consente tante considerazioni, non solo di carattere medico, giuridico, sociologico, ecc., ma anche di umanità.
Nicola Marzo
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 195, marzo 2022)