Un tempo erano “i vizi dei ricchi”. Oggi droghe, pornografia, eccessi sessuali e di ogni tipo sono diffusi tra le masse. Ed è una strategia per indebolire popoli e nazioni
Anche prima degli anni Sessanta del secolo scorso, droghe, sesso selvaggio, gioco d’azzardo, eccentricità nelle mode e nei costumi, esistevano. Come sempre. Ma, come sempre, erano stati appannaggio delle classi elevate e, poi, con il passaggio del potere nel XIX secolo dalla nobiltà alla borghesia, dei ricchi, molto ricchi. Insomma, delle élite dell’epoca. Beninteso, di una loro minoranza meno “virtuosa”, giacché, secondo la lezione di Vilfredo Pareto, senza la guida di una forte classe dirigente, non può esistere una società compatta. Il popolo si faceva beffe dei “vizi” dei ricchi e della loro sciocca sudditanza a ogni frivola moda [si vedano i consueti sberleffi di Totò ne L’imperatore di Capri (di Luigi Comencini, 1949)].
Negli ultimi decenni molto è cambiato, anche per la spinta del Sessantottismo, che, al contrario della credenza diffusa, non è stato un movimento guidato dal basso, spinto da istanze popolari o operaie. Esso scaturiva dall’alto, da parte di una gioventù di studenti borghesi alla ricerca più della trasgressione e dell’esaudimento dei desideri individuali e individualistici che della giustizia sociale e della pace nel mondo; per di più, la “contestazione” è stata subito teleguidata dalle multinazionali in direzione consumistica (dalle magliette ai dischi, dalle scarpe di tendenza ai sex toys). Si potrebbe pertanto affermare paradossalmente che il Sessantotto non ha perso ma ha trionfato [vedi Il “sessantottismo” ha vinto (soprattutto nella Silicon Valley)]. E le élite hanno diffuso, espanso, dilatato, “massificato”, quelle che una volta erano cattive abitudini solo della propria componente più “viziosa”, trasgressiva o deviante; oppure degli artisti, cui, per una sorta di tacito “statuto”, è stata quasi sempre concessa la massima libertà di trasgredire le comuni norme morali e sociali. Ma ciò non significa che tra élite e popolo vi sia stato un avvicinamento. Proprio il contrario. Siamo di fronte a un’evidente nuova, più spietata lotta di classe, dall’alto verso il basso. Come scrive Marcello Veneziani in Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio), «da alcuni anni, invece, la classe dominante si è fatta classe sovrastante, cioè vive al di sopra e al di fuori del paese, non si assume precise responsabilità di comando […]. Si estranea, si ritira in un mondo inaccessibile, non coopta nuove energie, preferisce diminuire i rapporti con la plebe, lascia che un ceto medio sempre più vasto si proletarizzi» (p. 263).
Le nuove classi dirigenti sono vere e proprie caste narcisiste, cosmopolite, edoniste, individualiste, senza responsabilità civica né spirito comunitario, caratterizzate da arroganza e senso di superiorità, dal disprezzo per i valori borghesi e popolari, e agiscono per provocare il declino degli stati nazionali e della civiltà occidentale (leggi Cioran sull’autodistruzione della civiltà europea). È un fenomeno che è stato bene analizzato per primo da Christopher Lausch nel suo La ribellione delle élite (1995). Il massimo dei valori che esse concepiscono sono quelli, falsi, ipocriti e classisti, del politically correct: difesa delle donne (agiate), dei gay (idem), dei poveracci lontani e quindi irraggiungibili, delle razze (nere), dell’ambiente (a parole): tutto generico, algido, distante dagli orizzonti delle masse operaie, piccolo e medio-borghesi. Si va così imponendo, aggiunge Veneziani, «un totalitarismo di tipo nuovo, incruento ma pervasivo, che dispone dell’umanità senza tirannia o violenza e cresce all’ombra dello scientismo, della pornocrazia, dei consumi e dell’omologazione di massa. È un totalitarismo in senso letterale, perché esclude di fatto ulteriori orizzonti e dissolve ogni legame, valore o pensiero che vi si oppone o che semplicemente non rientra nel suo alveo. Il nuovo totalitarismo non usa la forza ma la seduzione, non i divieti ma i desideri» (p. 359).
Se qualcuno un po’ più adulto rivela ai ragazzotti odierni che solo pochi decenni fa i loro nonni non si drogavano – forse meglio lasciar perdere i genitori – non viene creduto. Così come, per molti, troppi di loro, princìpi e valori come onore, pudore, riservatezza, modestia, propensione al risparmio, che costituivano la colonna vertebrale della popolazione italiana, comuni sia alla piccola borghesia sia al proletariato, risultano termini oscuri. Anzi, incomprensibili in epoca di folle consumismo, movida sfrenata, giovanilismo, bullismo, teppismo, ludopatia, corpi esibiti sui social, mascolinizzazione (anche nel linguaggio) delle ragazze, femminilizzazione (anche nella voce e nella gestualità) dei ragazzi (vedi Come recuperare un sano rapporto uomo-donna? Combattendo l’ideologia dominante). Insieme allo sdoganamento di droga (persino “dello stupro”) e sballo, è soprattutto la mercificazione dei corpi uno degli aspetti più evidenti e tristi del degrado dilagante imposto dall’alto (vedi Il sesso sporco del neocapitalismo), compresa la moda dei tatuaggi e del piercing, che deturpano il corpo, il quale, per sua natura, dovrebbe essere sacro.
Un ulteriore dramma è che i “vizi” costano e che, se per un benestante può non essere un problema dilapidare centinaia di euro al giorno, forse lo è per i cittadini “normali”. I poveracci devono dunque essere dipendenti dai “vizi”, senza però possedere il denaro per mantenerseli, quindi devono procurarselo in ogni modo, anche illecito. Aumenta pertanto a dismisura il circuito criminale, composto al centro dai grandi criminali (mafiosi, trafficanti di droga, bande straniere, sfruttatori di prostitute, siti on line di giochi d’azzardo non autorizzati ecc.); quindi, nel cerchio più vicino, dagli spacciatori “di mestiere”; infine, nel cerchio più esterno, da chi vuole fruire del “mercato” senza averne le possibilità economiche, quindi è spinto, secondo varie modalità, ad azioni illegali e criminali. Insomma, le nuove élite globaliste non si accontentano di dominare, vogliono imporre una loro visione edonistica nella quale ai veri, sacrosanti diritti sociali (lavoro, scuola, istruzione, casa, sanità, trasporti), subentrano privilegi divisivi e parcellizzati (gay, neri, transessuali, immigrati, femministe, liberalizzazione della droga).
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 193, gennaio 2022)