Doloroso quanto libertario il pensiero di Lucilio Santoni nel suo “Legato con amore in un volume” (InSchibboleth edizioni)
Del poeta e scrittore anarchico marchigiano Lucilio Santoni avevamo parlato su LucidaMente già qualche anno fa a proposito delle sue Lettere a Seneca (vedi Un poetico, tormentoso impegno civile). Stavolta vogliamo segnalare il suo nuovo libro Legato con amore in un volume. Quasi un diario (InSchibboleth edizioni, Roma 2020, pp. 112, € 10,00): una toccante miscellanea di riflessioni sparse, ricordi, aforismi, dialoghi, citazioni, illuminazioni, versi, storie, paradossi, su vita, umanità, società, politica, arte, Storia. Il tutto espresso in uno stile secco, preciso, a volte crudele.
L’opera è divisa in quattro sezioni, di assai diversa lunghezza, dai suggestivi titoli che sanno di poesia: I. In certe ore fortunate; II. Una pagina dell’universo; III. Mentre ospita il vento; IV. L’avvenuto passaggio nel mondo. Santoni inizia col rievocare la figura di un suo omonimo, il grande e originale pensatore Lucilio Vanini, assassinato dall’Inquisizione per le sue idee che anticipavano le teorie di Lamarck e Darwin. Subito dopo, si arriva al concetto-cardine della poetica dell’autore: «Possiamo dire che la bellezza creata dall’essere umano derivi sempre dalla ferita e dalle lacrime». La nostalgia di un altro mondo, più bello, più buono, più vero, induce in noi la mescolanza del dolore dell’assenza con la tensione verso il piacere infinito: «La malinconia è il miglior colore della vita. Contiene l’allegria e la tristezza: si potrebbe dire che è l’allegria di essere tristi». E «ogni vero libro deve tendere a rimettere in sesto l’universo».
Di fronte alla banalità e alla mercificazione dilagante di tutto, all’imbecillità social, attraverso cui il potere fa illudere gli stolti di essere meno soli, l’autore ribadisce che la «cultura autentica» nasce «dalla solitudine», nel silenzio, nella straziante e tutt’altro che facile ricerca del bello. Il contrario di una società che sostituisce alla vera felicità, che è misurata e costituita da mirabili quanto rari istanti, la sfrenatezza edonistica delle merci, che cancella la tradizione, la quale, invece, come la madrelingua, ci àncora alla realtà. Il pensiero unico imperante, al contrario, esalta acriticamente tutto ciò che sa di «modernità e innovazione»: «Per essere veramente rivoluzionari,» afferma Santoni «bisogna essere conservatori nello spirito»; e la rivoluzione va fatta «per amore di qualcos’altro».
E si arriva alla stretta attualità, con l’imbecille frase «Everything is gonna be ok», ripetuta come un ridicolo tormentone nei film e telefilm americani dalle intenzioni ansiolitiche. Il peggio è che sia stata ripresa in Italia dalla menzogna del potere e dalla stupidità delle masse con quel pandemico «andrà tutto bene», che sin dall’inizio i meno ingenui hanno pienamente colto nella sua iettatoria vacuità. Impera una cultura di massa che tende a valutare soltanto l’esteriorità, per cui, se non ci si cambia d’abito e non si è perfettamente curati, ci si espone al pubblico ludibrio, ma è considerata normale una persona che lavora «così tanto a testa bassa che non ha il tempo di leggere libri, vedere film, ascoltare musica» ed è in grado di esprimersi solo con «luoghi comuni, battute televisive, espressioni di finto amore». Sicché «la bruttezza della nostra vita si riverbera nella bruttezza del nostro linguaggio, orribilmente politicamente corretto» e il vero «eros è sconfitto, definitivamente. Laddove per eros s’intende tutto ciò che accende la vita e le sue attività fatte per passione: la fantasia, il gioco, l’entusiasmo e il desiderio al giorno che viene».
La denuncia e l’inesorabile condanna di Santoni del mondo capitalista globalista neoliberista in cui stiamo affogando sono totali. Nell’attuale economia l’«utilità di un determinato lavoro ed emolumenti sono inversamente proporzionali. Quando un’attività è dannosa per il mondo, viene ben pagata. E questo la dice lunga sul livello di giustizia in cui viviamo». Il bla-bla imperante su internet come veicolo di libertà viene smontato: «Una larga fetta della ricchezza planetaria, oggi, è prodotta da un lavoro gratuito che facciamo tutti, usando apparecchi di comunicazione elettronici, stando sui social, detto in una parola: essendo connessi. Tale ricchezza che produciamo va nelle tasche di pochissimi nel mondo. Sarebbe minimamente giusto che una parte di quella ricchezza tornasse indietro a chi la produce, cioè a noi tutti».
Così come il bla-bla mistificatorio quanto totalitario sul ruolo delle donne. L’evidente tendenza a trasferire il potere dagli uomini alle donne – ma anche dagli etero agli omosessuali, dai bianchi ai neri, ecc. – non fa altro che sostituire un’iniquità con un’altra. Ma perché questa scelta, per di più con una «narrazione rivendicativa indigeribile», che soffoca «la capacità critica di analizzare la realtà»? Santoni fornisce la seguente spiegazione: «Il mercato, alla disperatissima ricerca di come piazzare le ultime merci, sta portando ai ruoli di comando coloro che consumano di più. È l’ultimo, estremo tentativo di far salire il Pil. In tale operazione, il mercato trova terreno fertile nel rifiuto dei valori tradizionali, quali la maternità o l’economia domestica, e nell’esaltazione dei ruoli funzionali alla società dello spettacolo avanzata». Chi ci salverà? Chi si salverà?: «Quelle poche persone che saprebbero godersi la vita sono coloro che fanno costantemente una sintesi fra cultura classica e contemporanea, perseguono la verità e contemporaneamente studiano cosa farsene della verità, cercano il connubio fra bontà e intelligenza, e in tal senso provano a ragionare con la propria testa e, al tempo stesso, con la testa di tutti».
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 189, settembre 2021)