Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 la Repubblica italiana fu a un passo dalla fine per via di un colpo di Stato. Oggi, a mezzo secolo dall’evento, un nuovo libro di Fulvio Mazza si propone di fare chiarezza sulle trame che portarono a tanto e sulle vicende giudiziarie che ne seguirono
Per molti anni il Golpe Borghese ha rappresentato una vicenda tanto scomoda da rimanere chiusa nel baule dei ricordi indesiderati, oggetto di una damnatio memoriae che tanti problemi ha evitato a buona parte della politica e delle istituzioni deputate alla gestione della cosa pubblica del nostro Paese. Esso fu un tentativo di colpo di Stato avvenuto la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, ma reso pubblico solo il 17 marzo 1971, quando il quotidiano Paese Sera ne diede la notizia scoop. A guidarlo fu il già comandante della Xª Flottiglia Mas, Junio Valerio Borghese. Il nuovo lavoro di Fulvio Mazza, Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti” (Luigi Pellegrini Editore, pp. 274, € 16,00), si presenta con l’autore nelle vesti di un investigatore desideroso di sviscerare e divulgare le dinamiche oscure alla base di un’operazione eversiva complessa e audace.
Il volume in questione esce in seconda edizione nel mese di marzo 2021 presentando qualche differenza con la prima, di poco antecedente. Innanzitutto, Mazza aggiorna il titolo eliminando le virgolette dal termine “golpista” che precedeva il nome di Giulio Andreotti, il quale, come ben si evince nel testo, giocò un ruolo di primaria importanza nella cosiddetta “vicenda Borghese”. L’autore poi mostra ferma convinzione nel sostenere che il Partito comunista italiano (Pci) fosse a conoscenza del colpo di Stato sin dall’inizio, precisando tuttavia che i “rossi” non erano al corrente del funzionamento degli esatti meccanismi alla base del mondo golpista. Ma perché i comunisti non comunicarono pubblicamente quanto sapevano? A tal quesito Il Golpe Borghese non fornisce una risposta univoca, bensì ipotesi. In primo luogo, il Pci ebbe paura che quei settori della forza pubblica, collusi con l’estrema destra, ma che avevano deciso di non prendere parte al golpe, di fronte alle polemiche che sarebbero scaturite al diffondersi di una notizia di tale portata, avrebbero cambiato idea, schierandosi dalla parte del colpo di Stato e dando adito allo scoppio di una guerra civile. In secondo luogo, i comunisti avevano capito che Andreotti era coinvolto nel golpe e, dunque, avversarlo avrebbe significato silurare il “Divo Giulio”, il quale proprio in quegli anni lanciava segnali di apertura al Pci.
Riguardo lo scopo che questo libro persegue, Mazza è molto chiaro fin dal titolo: al lettore si propone un ipotetico «quarto grado di giudizio» che paradossalmente metta in discussione la verità giudiziaria affermata dai tribunali italiani riguardo le trame eversive per favorire l’accertamento di una verità storica che possa sbrogliare l’alone di mistero che copre tali vicende. Si noterà che i vertici del Servizio informazioni difesa (Sid) contrastarono le indagini portate avanti dal capitano Antonio Labruna, appartenente allo stesso organo, e che il ministro Andreotti e il pubblico ministero Claudio Vitalone minimizzarono il tutto. La Cassazione, infine, pose sul caso una pietra tombale.
L’autore suddivide il volume in maniera geniale, vale a dire in tre parti, ciascuna con un’impostazione metodologica differente. Ne risulta una visione d’insieme dell’argomento molto soddisfacente, il che dà al lettore l’opportunità di osservare e analizzare i meccanismi di un orologio “inceppatosi sul più bello”, ovvero all’1,49 dell’8 dicembre 1971, quando lo stesso Borghese bloccò il golpe con il famoso contrordine. Nello specifico, la prima parte del libro ha un’impostazione saggistica, esplicando dapprima le circostanze generali entro le quali si colloca l’episodio golpista, facendo riferimento alle trame circa la cosiddetta strategia della tensione e ponendo sotto la lente d’ingrandimento le dinamiche eversive nere e rosse, oltre che i movimenti extraparlamentari dell’ultradestra e dell’ultrasinistra. Poi, partendo da tale retroterra, Mazza illumina gli sviluppi interni al mondo politico e istituzionale e le loro relative collusioni col cosmo dell’eversione nera. A questo punto il lettore si appresterà a conoscere la traiettoria giudiziaria che, grazie principalmente a censure effettuate proprio da chi avrebbe dovuto fare chiarezza, portò il colpo di Stato mancato in un vicolo cieco, riducendolo così a un “nulla di fatto”. Nella seconda parte vi è una cronologia annotata riguardante lo svolgimento della fase operativa dell’operazione, dal dispiegamento degli individui al contrordine. Infine, nella terza sono collocati nove documenti che integrano quanto già affrontato dal libro. Per la ricostruzione storica, le fonti chiamate in causa sono costituite per lo più da documenti inediti provenienti soprattutto dal servizio segreto militare di allora: il Sid. A essi sono affiancati altri materiali, editi e inediti, di fonte diversa, essenzialmente della Commissione stragi e della Commissione P2.
“Il Golpe Borghese” mette il lettore di fronte a questioni scottanti e sorprendenti. Viene ricordata la situazione geopolitica dell’epoca, con l’arco superiore del Mediterraneo egemonizzato da regimi filofascisti (Grecia, Spagna, Portogallo): in un simile contesto l’Italia di allora rappresentava l’unica democrazia e per le forze dell’estrema destra la tentazione di rovesciare l’ordine costituito crebbe sempre di più in seguito al Golpe dei colonnelli avvenuto in Grecia nel 1967. La luce è posta poi sulla cosiddetta “Dottrina Maletti”: con tale espressione Mazza indica quei tagli censori che il capo del Reparto D del Sid Gianadelio Maletti effettuò dapprima sul Malloppo e poi sul Malloppastro, cioè raccolte di documenti illuminanti circa l’esatta organizzazione della macchina golpista.
Dalle ricerche risultano evidenti anche i rapporti degli eversori con gli ambienti statunitensi, i quali tennero un atteggiamento vigile nei confronti dello scenario italiano, così da poter intervenire nel caso avessero riscontrato la possibilità di trarre beneficio sul piano geopolitico. L’autore, inoltre, riesce a mettere in risalto i rapporti che quelle parti sovversive delle istituzioni pubbliche tennero con la mafia e la ’ndrangheta, con le quali strinsero accordi. I nomi che escono fuori da queste vicende sono di spicco: lasciando al lettore il piacere della scoperta, anticipiamo solo che si tratta di figure di primo piano nel panorama politico e istituzionale dell’Italia della Prima Repubblica, il che desterà un senso di sorpresa. L’opera di Mazza si inserisce a pieno titolo in un filone storiografico che indaga i trascorsi italiani dal dopoguerra a oggi. Altri storici hanno trattato tematiche del genere, primo fra tutti Aldo Giannuli. Con quest’ultimo Mazza condivide la “linea d’indagine” che caratterizza Il Golpe Borghese, atta principalmente a smontare quel sentire comune che ha posto sull’evento l’etichetta di “golpe da operetta” dettata dal film di Mario Monicelli Vogliamo i colonnelli del 1973. Il fallito colpo di Stato del dicembre 1970 fu tutt’altro che il frutto dell’improvvisazione di un manipolo di nostalgici del fascismo, bensì si trattò di un progetto studiato nei dettagli e da inserirsi in un contesto più grande. In definitiva, siamo di fronte a un libro brillante, di primaria importanza per quel che riguarda la storiografia relativa al golpe del principe nero Borghese e, più in generale, per ciò che concerne gli anni di piombo e il terrorismo nella penisola.
Le immagini: la prima pagina del quotidiano Paese Sera che annuncia, tre mesi e mezzo dopo, il tentativo di colpo di Stato ai danni della Repubblica italiana avvenuto la notte dell’8 dicembre 1970; foto del già comandante della Xª Flottiglia Mas Junio Valerio Borghese, che organizzò e diede il contrordine al golpe, e di Fulvio Mazza, autore del libro sulla vicenda.
Mario Curreli
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 185, maggio 2021)