Il movimento Black lives matter si concentra su singoli episodi di violenza tralasciando completamente discriminazioni e persecuzioni passate e presenti: la tratta degli schiavi araba, gli eterni scontri interetnici in Africa, la schiavitù odierna nel mondo come mai prima, le sopraffazioni religiose, l’infibulazione e la clitoridectomia… Ma il peggior razzismo è quello sociale
Etiopia, 7-8 luglio 2020. Centinaia di persone sono rimaste uccise negli scontri tra diverse comunità seguiti all’omicidio, avvenuto ad Addis Abeba la sera del 29 giugno, del localmente famoso cantante Hachalu Hundessa, alfiere e orgoglio dell’etnia oromo. Nell’ex colonia italiana i vari gruppi etnici sono circa ottanta, spesso in conflitto tra loro, e frequenti sono gli attriti, anche violenti.
Pakistan, 29 giugno 2020. Dopo cinque interventi chirurgici, in seguito all’aggressione a colpi di arma da fuoco subita la sera del 4 giugno, muore Nadeem Joseph. La sua colpa? Essere a capo di una famiglia cristiana che aveva avuto la sfrontatezza sacrilega e blasfema di risiedere nel quartiere musulmano di Swati Pathk della città di Peshawar. Crediamo che difficilmente sui vari mass media sarete venuti a contatto con queste notizie. E tutto ciò che non compare sui telegiornali, sui quotidiani, nei libri, nei film “impegnati”, non esiste. Non sono fatti, non c’è il casus. La scarsa diffusione di news riguardanti paesi lontani, in particolare africani, asiatici o latinoamericani, è legata ad almeno due motivi. Il primo è lo scarso interesse per alcune popolazioni, come se la loro vita contasse di meno di quella di altre. Si dovrebbe dunque urlare All lives matter; ma questo slogan alternativo è stato subito tacciato di insensibilità e razzismo verso le persone di colore.
Il secondo è il fatto che la conoscenza di alcuni avvenimenti farebbe mutare molte visioni/opinioni (o, almeno, costringerebbe a pensarci su) basate sulla “discriminazione positiva” e sul pregiudizio ideologico, facendo aprire gli occhi (e la mente) su una dolorosa realtà: discriminazione, razzismo, intolleranza, sono presenti su tutto il pianeta. Tutto. Da sempre. Alla fine, perciò, si perviene a un doppio “razzismo”. Innanzi tutto, quello, consueto, derivante dalla scarsa considerazione per ciò che non è occidentale. Ma anche il razzismo dell’antirazzismo (e dell’autorazzismo), per cui, per evitare verità scomode, si arriva alla stessa conclusione: la censura e/o la chiusura degli occhi, se a commettere atti spregevoli sono “categorie protette” (neri, stranieri, donne, gay, islamici, ecc.). Il razzismo di chi non vuole vedere il razzismo. E oggi il concetto di razzismo è inteso in senso lato; vale a dire ogni forma di intolleranza, discriminazione, persecuzione. Del resto, solo in questa accezione si può parlare di razzismo, visto che, secondo i benpensanti, “le razze non esistono”
Gli scontri etnici, spesso proprio di marca razzista in quanto originati da un’idea di presunta superiorità/inconciliabile diversità di un’etnia sull’altra, sono una costante della Storia dell’Africa. Tra i conflitti interetnici recenti più sanguinosi ricordiamo quello tra hutu e tutsi nel Ruanda (1994), che ha provocato tra mezzo milione e un milione di morti, mentre ancora oggi, dopo la guerra del Biafra (1967-70, circa tre milioni di morti), continuano i moti della popolazione igbo per ottenere l’indipendenza dallo stato centrale nigeriano. Proprio le guerre etniche, certamente spesso fomentate da nazioni straniere, sono tra le cause della deportazione dei milioni di neri verso le Americhe. Gli esecrabili mercanti di schiavi, infatti, non avrebbero potuto catturare direttamente la “merce umana”: la trovavano già bell’e pronta a buon prezzo, consegnata da altre tribù di colore predominanti che avevano compiuto razzie o attraverso varie “transazioni” effettuate nell’Africa subsahariana.
E da dove partiva (nel tempo e nello spazio) l’immondo commercio? Dagli arabi. Scrivono Marco Fossati, Giorgio Luppi ed Emilio Zanetti ne L’esperienza della storia (Edizioni scolastiche Bruno Mondadori-Pearson): «Gli europei che nel XVI secolo incominciavano a frequentare l’Africa subsahariana non erano certo i primi che ambivano a guadagni offerti dal traffico di esseri umani. Per secoli gli africani delle zone tropicali ed equatoriali erano stati sequestrati e venduti dai mercanti arabi e berberi che tenevano i contatti con l’Asia e con le regioni africane a sud del Sahara. […] Il rifornimento […] avveniva attraverso la mediazione di mercanti e razziatori neri che si procuravano gli schiavi dai sovrani degli stati africani e li vendevano o alle compagnie commerciali privilegiate, nelle loro piazzeforti sulla costa, o ai liberi mercanti. […] Non c’è dubbio che la tratta non avrebbe potuto avere luogo se la schiavitù non fosse stata radicata nel continente; che il commercio di schiavi era già largamente praticato in Africa dai musulmani anche prima dell’arrivo degli europei; che le élite di alcuni regni africani giocarono un ruolo attivo nella tratta, vendendo ai mercati europei gli schiavi caduti prigionieri nelle guerre locali ma anche organizzandone il sistematico rapimento nelle aree interne».
Probabilmente anche una parte del razzismo verso i neri fu dovuta alla consuetudine di vederli come schiavi imprigionati e portati in giro per Asia ed Europa dai mercanti arabi e berberi. È paradossale una verità storica: il 14 ottobre 1935 fu proprio il regime mussoliniano ad abolire la schiavitù nella regione del Tigré, territorio da cui ebbe inizio la comunque aberrante conquista d’Etiopia. Persecuzioni, discriminazioni, razzismi, non hanno colore e non conoscono interruzioni nello spazio e nei tempi. Gli arabi islamici hanno conquistato e dominato per mille anni con la forza della scimitarra. Molti di più rispetto ai tre secoli di espansione europea nelle Americhe e al secolo di imperialismo del Vecchio Continente in Africa. Mongoli e turchi hanno invaso i territori a occidente della loro collocazione originaria massacrando le altre etnie con le quali venivano a contatto. Gli orrori delle prese di Baghdad o di Costantinopoli sono raccapriccianti.
La tanto decantata cultura delle tribù pellerossa prevedeva che un uomo fosse stimato tale solo dopo l’uccisione di un nemico di un’altra tribù. Tra le nefandezze del XX secolo ricordiamo lo sterminio degli armeni a opera dei turchi e gli orrori commessi dai giapponesi nei confronti di coreani e cinesi; al contrario degli europei, né i governi turchi né quelli giapponesi hanno ammesso le stragi e i crimini contro l’umanità da loro perpetrati. E che dire della conquista del Tibet da parte della Cina (1950), con la conseguente oppressione della locale cultura buddista? Oggi, tra le tante angherie, possiamo accennare a due contro popolazioni musulmane: quella cinese contro gli uiguri e quella in Myanmar contro i rohingya. Nell’odierna Africa si praticano ancora clitoridectomia e infibulazione, per ragioni etniche più che legate all’islam. A proposito di evidenti discriminazioni negli Stati uniti, ebrei, irlandesi, italiani, cinesi, messicani e latinos sono stati emarginati e ghettizzati almeno quanto i neri.
Eppure, con meno vittimismo, oggi hanno raggiunto un buono status sociale con senatori, deputati, governatori e sindaci nelle loro fila. Il fatto più scandaloso è che Ci sono più schiavi oggi che in qualunque altra epoca della storia umana. Secondo il Global Slavery Index, attualmente ammontano a circa dieci milioni gli schiavi neri in Africa. Anche se ufficialmente bandita, in Mali e in Mauritania (soprattutto la minoranza haratin vittima della maggioranza araba o berbera) la schiavitù ereditaria, basata sulla casta, è ancora praticata. Un documentario del 2017 ha mostrato in Libia vere e proprie aste di schiavi. Inoltre, se si considerano lavoro forzato, sfruttamento sessuale (nella quale primeggia la mafia nigeriana) e matrimoni coatti, il numero di schiavi arriva a circa trenta milioni (dati dell’Ilo, Organizzazione internazionale del lavoro). In pratica, oggi le persone che vivono in una condizione di schiavitù sono quasi tre volte quelle deportate durante il periodo della tratta transatlantica degli schiavi. E il fenomeno non riguarda solo il Continente nero. Nel Regno unito è diffusa la messa in schiavitù di albanesi e vietnamiti. A livello globale la schiavizzazione frutta alle organizzazioni criminali circa 150 miliardi di dollari all’anno, poco meno rispetto al traffico di droga e armi. Ma quanti sono a conoscenza di tali orrori invisibili agli occhi di chi non vuol vedere? Non c’è nessuno smartphone che li filmi, nessun gruppo o movimento che li denunci. Eppure, all lives matter… o no?
All’inizio abbiamo accennato a un episodio avvenuto in Pakistan di persecuzione di cristiani. In realtà, la sopraffazione è tale che la presenza cristiana in Medio Oriente si è ormai ridotta in media del 50-60% circa. E non ci riferiamo a un calo rispetto alla presenza enorme dei primi secoli dell’era cristiana, ma nei confronti della situazione di appena qualche decennio fa. Essi sono destinati alla sparizione proprio in quelle terre nelle quali per prime i diffuse la dottrina di Gesù di Nazareth. È molto significativo per il suo valore simbolico il ritorno a funzione di moschea della Basilica di Santa Sofia a Istanbul. Non solo; affinché non ci fossero equivoci sul significato di conquista, l’imam Ali Erbas (ministro degli Affari religiosi in Turchia) è asceso sul pulpito con una spada ottomana in mano.
Tutti questi riferimenti ci dovrebbero far capire che il movimento Black lives matter si occupa solo di uno – e non dei più numericamente gravi – casi di violenze con componente razzista esistenti oggi al mondo (vedi, in questo stesso numero di LucidaMente, La società americana è violenta e Black lives matter, quale cultura c’è dietro?). E il peggior razzismo è quello sociale. Il potere liberal-capitalista che davvero conta, i grandi fondi finanziari, le banche d’affari, le multinazionali monopolistiche, i giganti dell’informatica e della telematica, i poteri sovranazionali quali Onu e Unione europea, le elite intellettuali, della cultura, dello spettacolo, dei mass media, stanno attuando la vera, progressiva segregazione e umiliazione dei ceti medio-bassi. Un progressivo abbrutimento, una vera guerra scatenata dai ricchi contro i poveri. E ai primi fanno comodo le battaglie cosmetiche come quelle del Black lives matter, quelle contro il cambiamento climatico o contro l’omofobia o i femminicidi. Sono armi di distrazione di massa, per deviare l’attenzione rispetto a un ordine economico agghiacciante.
Non è infatti un caso che la signora MacKenzie Scott, ex moglie di Jeff Bezos, il padrone di Amazon, abbia appena donato 1,7 miliardi di dollari in beneficenza a «gruppi e no profit che sostengono la comunità Lgbtq, l’uguaglianza di genere, quelle che si battono contro il cambiamento climatico». Sì, avete letto bene: poco meno di due miliardi di dollari. Insomma, l’ex marito sfrutta quasi un milione di lavoratori, approfitta del lockdown per aumentare vertiginosamente i profitti, ma lei pensa alle minoranze del politically correct, che potranno ben usare tanti soldi per le proprie campagne di propaganda. I poveracci con stipendi da fame e lavoro ultrastressante? Che crepino! Intendiamoci. Ogni discriminazione è disgustosa. Che non passi l’idea che tutti sono colpevoli di intolleranza e discriminazione, di violenze e sfruttamento, quindi nessuno è colpevole. No, tutti colpevoli. Ma proprio tutti. Che si prenda atto dei propri crimini contro l’umanità e si riconoscano, scusandosi con le vittime. E a farlo non devono essere solo i bianchi, occidentali, maschi, eterosessuali.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 176, agosto 2020)