Tra iconoclastia e saccheggi, la sottomissione al pensiero unico, l’omologazione al consumismo, l’assoluto vuoto culturale e il disprezzo per l’Occidente, storia, arte, filosofia e bellezza comprese
Vi ricordate la serie (1979-1985) di telefilm statunitensi Hazzard? Orrendi per la loro bruttezza e stupidità. Eppure dotati di una (sottilissima) vena sessantottesca e libertaria, visto che i buoni erano dei giovinastri trasgressivi e i cattivi il capitalista e i poliziotti. Ciò non è stato sufficiente affinché anche questo programma non finisse nel mirino degli antirazzisti di professione. Il motivo: la Dodge Charger del 1969 guidata dai ragazzotti aveva una bandiera confederata dipinta sul tettuccio.
Non solo: l’autovettura era stata battezzata General Lee, ovvero uno dei capi dell’esercito sudista nella Guerra di secessione o Guerra civile americana (1861-1865), che contrappose gli stati del Nord unionisti, capitalisti, protezionisti e abolizionisti della schiavitù, a quelli del Sud confederati, agrari, liberisti e, ovviamente, schiavisti. Del resto, Hazzard era ambientato in Georgia, uno degli stati che aveva fatto parte di quest’ultima alleanza e nel quale maggiormente resiste ancora oggi la cultura della vecchia società. Ovviamente, i telefilm “razzisti” verranno banditi da tv, cataloghi, vendita on line, ecc. Poco male, direte voi. Però, la stessa sorte tocca a Via col vento (la cui indimenticabile protagonista Olivia de Havilland si è spenta proprio pochi giorni fa, il 25 luglio, all’età di 104 anni) e persino agli splendidi cartoni animati di Looney Tunes (Bugs Bunny, Speedy Gonzales, Silvestro, Will il Coyote)! Discriminazione razziale, uso di armi, maschilismo, stereotipi non conformi al politicamente corretto: sono le accuse sicure per mettere a tacere persone e arte, movimenti politici e cinema, storia passata e presente. Un’iconoclastia alimentata e alla quale quindi allo stesso tempo si sottopongono di buon grado la jet society, le star di Hollywood e i cantanti rock, le case di produzione cinematografiche e musicali, i mass media e l’industria pubblicitaria, i tycoon del Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) e le elite capitalistico-finanziarie…
Innanzi tutto, nella storia umana la distruzione di immagini raffiguranti l’essere umano è sempre stata un fenomeno negativo, legato a intolleranza, violenza, persecuzioni. Da quella islamica all’iconoclasmo bizantino (imitazione/reazione proprio all’aniconismo musulmano, ma per fortuna limitata nello spazio e nel tempo, VIII secolo), a quella protestante. Ma anche quella che riguarda l’abbattimento di statue e immagini di dittatori caduti in disgrazia, ovvero morti (Mussolini, Stalin, Saddam Hussein): in questi casi dà l’idea di un vigliacco accanimento postumo contro dei cadaveri – e nel caso del “Duce” è avvenuto anche tale vilipendio. Ora è venuto il momento della distruzione di statue ed effigi raffiguranti personaggi storici con qualche ingombrante scheletro nell’armadio riguardo tratta degli schiavi neri, imperialismo, sfruttamento economico, discriminazione, ecc. Le modalità: imbrattamento, distruzione, perenne immersione nelle acque di fiumi o mari. A prescindere dal valore artistico del manufatto. Poi, prendersela con un quasi innocente esploratore italiano, quale Cristoforo Colombo, assume a sua volta il sapore di discriminazione etnica…
Il nuovo movimento iconoclasta, come avrete capito, è il Black lives matter (“Le vite nere contano”), sorto dopo l’uccisione del nero George Perry Floyd, avvenuta il 25 maggio 2020 a Minneapolis (Stati uniti) da parte di un agente di polizia. Per sgombrare il campo da ogni equivoco, diciamo subito che il fatto è da condannare in modo assoluto e che rientra nel problema più generale dell’eccessivo uso della violenza negli Usa da parte delle forze dell’ordine. Nulla giustifica l’omicidio di Floyd: né i trascorsi penali dell’uomo né il fatto che nella società statunitense brutalità e armi da fuoco siano generalizzate (ne parliamo in questo stesso numero di LucidaMente in La società americana è violenta). La questione è analizzare le modalità di protesta del movimento autodefinitosi antirazzista e che si è diffuso in tutto il mondo (come i salvatori del pianeta di Greta Thunberg, gli immigrazionisti, i terzomondisti, ecc.) per cercare di capire il significato attraverso i segni, ovvero la realtà collocata dietro i simboli. L’iconoclastia indica infantilismo, rozzezza, incapacità di studiare la Storia, volontà di semplificarla, banalizzarla, evitare di fare i conti con essa e, soprattutto, con quella degli “altri” (vedi Razzismi, colonialismi, schiavitù: condanniamoli, ma tutti).
Come tutti i movimentismi nati prima e soprattutto dopo il Sessantotto, Black lives matter usa la violenza (non solo verbale) e ritiene non soltanto che un mondo migliore, una vera e propria palingenesi, sia a portata di mano hic et nunc, ma che ci siano dei “cattivi” da abbattere, nel presente come nel passato. Nonostante si sentano alternativi, il fanatismo, l’intolleranza, la mancanza di dialogo con gli interlocutori (subito tacciati di nazifascismo e razzismo), il moralismo, sono accostabili alla Santa inquisizione, alla caccia alle streghe, alle purghe staliniane o agli incubi cambogiani di Pol Pot. È il vero volto del nuovo totalitarismo dominante negli stati occidentali, quello del politicamente corretto.
La sinistra politically correct si dedica ormai solo a gesti simbolici, effimeri, futili, dalle marce alle facili petizioni on line. “Bei gesti estetici” che potrebbero definirsi dannunziani, se non vi mancasse la cultura nonché il coraggio di mettere la propria vita a rischio. Inoltre, certi movimenti “apartitici” scendono in campo con una precisione cronometrica in prossimità di scadenze elettorali per aggredire mediaticamente (ma anche fisicamente, se non ci fosse la polizia) un candidato o una parte politica, sostenendone di fatto gli avversari, più vicini alle sinistre. L’altra faccia delle proteste è l’assalto e il saccheggio di centri commerciali e negozi. Per rubare scarpe Nike, felpe firmate, prodotti telematici. Se i gesti simboleggiano qualcosa, fare questo significa non contestare il “sistema”, ma manifestare la massima volontà di conformarsi a esso, seguendo non una presa di coscienza civile e culturale, ma la logica del desiderio individuale, del soddisfacimento immediato dei propri istinti e bisogni più bassi.
D’altro canto, quasi subito anche il Sessantotto divenne un buon affare per l’industria discografica, gli stilisti, la moda e tutto ciò che poteva cavalcare le nuove tendenze di consumo. L’importante è far soldi, baby. Ma nel caso dei neri (o bianchi o ispanici) che si appropriano di oggetti di consumo di lusso o quasi c’è di più. Nella cultura rap-trap-gangsta, dominante tra i giovani di colore Usa, automobili di grossa cilindrata, gioielli, catenone d’oro, donnine volgari, armi da fuoco, droga e “sballo”, stato di perenne eccitazione, “omofobia”, violenza tra bande, saccheggi, teppismo, costituiscono gli ingredienti della vita da raggiungere. Disprezzo per la riflessione, il ragionamento, il dialogo: un assoluto vuoto pneumatico cerebrale, intellettuale, culturale. Che differenza c’è con la cultura consumista dominante? È anche peggiore.
Insieme, contestazione “culturale” e saccheggi per prendere possesso di prodotti simbolo del consumismo e delle nuove tecnologie sono la triste faccia della stessa medaglia. Il massimo di antagonismo che corrisponde al massimo di conformismo culturale, di mentalità consumista di massa, dunque di alienazione. Si attua così una sottomissione ai dettami degli attuali padroni del mondo: capitalismo finanziario, tycoon dell’informatica e della telematica, poteri sovranazionali globali; il cui messaggio, l’ideologia della globalizzazione e del politicamente corretto, è veicolato dai mass media, dalle scuole e dalle università, dai centri culturali occidentali. La pubblicità odierna – vera immagine di tendenze e realtà economico-sociali-culturali – è intrisa di messaggi in favore di multietnicità, multiculturalismo, globalizzazione, ecologismo, sesso mercificato. Dunque, movimenti come quelli antirazzista o contro i cambiamenti climatici trovano sponda e sostegno proprio nei massimi centri di potere. “In cambio”, nessuna delle proteste di moda oggi sfiora i veri padroni del mondo e le vere cause dei problemi contro i quali si protesta.
Il razzismo o, meglio, l’intolleranza etnica e religiosa sono diffuse nel mondo molto più che negli Usa: chi protesta per questo? L’inquinamento per plastica degli oceani è dovuto per il 98% a paesi asiatici e africani. Avete mai visto una manifestazione contro questa realtà, magari organizzata proprio in quei paesi responsabili? I cristiani sono perseguitati in vaste aree di Asia e Africa. Sembra non importare neanche a papa Bergoglio. Infibulazione e clitoridectomia? Tabù, perché si dovrebbero fare cortei contro neri africani e islamici. E, soprattutto, oggi il vero “razzismo” è quello sociale: poveri, disoccupati, precarizzati a vita, sfruttati, per far arricchire in modo abnorme le elite del pianeta, di ogni colore e nazione. Ancor peggio: abbrutiti, senza istruzione né cultura comunitaria, utilizzati come consumatori di porcherie, magari tecnologiche, e nello stesso tempo disprezzati e derisi se non accettano le “magnifiche sorti e progressive” dell’ideologia della globalizzazione, del turbocapitalismo a trazione finanziaria e del politicamente corretto. Chi se ne occupa?
Quindi le manifestazioni antirazziste, ecologiste, pacifiste, per i diritti umani ecc. non sono altro che sterili schiamazzi. Infine, quanta ignoranza! Dietro facili slogan e la critica totale della Storia, della società, della cultura e dell’arte occidentale, non c’è nulla… I manifestanti usano tecnologie, cure mediche, idee, la stessa libertà, che derivano da secoli di sviluppo della civiltà occidentale, ma sembrano esserne del tutto ignari. Eppure, tra di loro, vi sono pure studenti universitari, persone con un minimo di cultura. Nulla. Se decine di navicelle spaziali stanno esplorando lo spazio e addirittura si stanno dirigendo oltre il sistema solare esterno, realizzando quanto di meglio l’umanità possa creare per soddisfare la propria dote migliore e più pura, la sete di conoscenza, il merito spetta a chi? Ragazzi, ciò che vi manca è lo studio e la lettura. Fate meno manifestazioni (violente) e leggete più libri (non settari).
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Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XV, n. 176, agosto 2020)