Comune, parrocchie, Caritas, cooperative e volontari. L’alleanza per ospitare chi non ha una casa si allarga, facendo del capoluogo emiliano un modello nell’aiuto delle persone senza dimora
«Tu prova ad avere un mondo nel cuore / e non riesci ad esprimerlo con le parole, / e la luce del giorno si divide la piazza / tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa». Così cantava Fabrizio De André – era il 1971 – nella canzone Un matto (Dietro ogni scemo c’è un villaggio).
«Nella civiltà contadina il matto, l’ubriacone non erano un problema, non erano emarginati. Oggi, anche se tante cose sono migliorate, se vuoi emergere nella società devi sgomitare, salire sulle spalle degli altri», ci racconta Maura Fabbri, coordinatrice del Centro di ascolto della Caritas diocesana di Bologna, contattata per parlare delle persone senza fissa dimora. Persone che vivono in strada, escluse, relegate ai margini della società. Ma con una voce ancora da far sentire. Un’indagine Istat del 2015 stimava in oltre 50 mila i clochard in Italia. Al 2012, nella sola città di Bologna, ne risultavano censiti 1.005, una consistente parte dei 4.394 presenti nell’intera Emilia-Romagna. Numeri elevati, se pensiamo che «sono 218 i posti per i senza fissa dimora previsti dal “Piano freddo” – ci spiega il consigliere comunale Francesco Errani – suddivisi in 13 strutture del Comune e dell’Arcidiocesi di Bologna». Piano che, continua Errani, «consiste nell’accoglienza notturna in luogo protetto delle persone che dormono in strada durante il periodo invernale.
Oltre ai posti letto, sono previsti numerosi altri servizi offerti prevalentemente dal volontariato, quali distribuzione di coperte, sacchi a pelo, bevande calde e generi di conforto, somministrazione di pasti». Analizzando le previsioni di bilancio per il 2020 del Comune emiliano, la voce «Interventi per soggetti a rischio di esclusione sociale» riporta la cifra di 36.479.907,74 euro, dei quali risultano già impegnati oltre 3 milioni. È la conferma di uno status quo ormai noto riguardo il capoluogo della storica “regione rossa”: la città di Bologna offre un livello di servizi sociali, sanitari e assistenziali elevato.
Ma le contraddizioni non mancano: «D’inverno l’accoglienza si moltiplica – afferma Fabbri – questo però non vuol dire che qualcuno non rimanga fuori. C’è chi rimane fuori perché non ci sono abbastanza posti. E chi rimane fuori perché in questi posti non ci vuole andare». I motivi di tale scelta possono essere i più vari: dalla paura di essere derubati al razzismo. «C’è chi dice “io mi sento più sicuro nell’androne di un palazzo, dove qualcuno mi apre una porta”». Scorrendo ancora il bilancio preventivo 2020, emerge un altro dato interessante: la previsione di competenza riguardo «Interventi per il diritto alla casa» è di soli 70.000 € (di cui 10.000 già impegnati). La carenza di posti è però un problema di non facile soluzione. La sintesi della responsabile Caritas è implacabile: «Più offri servizi e più fai da spugna. Le persone sanno che a Bologna trovare un posto è più probabile perché c’è tanta disponibilità». Le migrazioni interne – ci viene spiegato – verso gli agglomerati urbani provengono anche da fuori regione. E sono tante le storie di chi, in cerca di un lavoro, parte dal proprio paesino d’origine, trovandosi poi a vivere per strada in un grande capoluogo. Tornare indietro è impossibile, perché là, dove magari si ha un tetto sopra la testa, non c’è occupazione.
La distribuzione di servizi sociosanitari e lavorativi in Italia è a macchia di leopardo: «Esistono aree del Paese dove ci sono risorse e disponibilità maggiori». Proprio in tali aree confluisce la maggior parte dei bisognosi. Di conseguenza, «questo comporta anche maggior impegno economico: il comune paga le cooperative per gestire servizi di accoglienza, ma ha un budget oltre il quale non può andare». Come abbiamo visto, quello della municipalità felsinea è elevato, ma «non può coprire anche le mancanze di altre regioni», evidenzia Fabbri. Che prosegue sottolineando in che modo proprio Bologna offra comunque un aiuto concreto a chi è senza dimora: i portici infatti, recentemente candidati a entrare nel patrimonio Unesco, sono «qualcosa di meglio che dormire all’aperto».
Il consigliere Errani ricorda che «la povertà non è una scelta, è ingiustizia sociale. Le persone che dormono per strada, e che occupano materassi e cartoni, hanno un volto e una storia, come tutti noi». È su questo aspetto, in particolare, che la Caritas lavora da anni, cercando di «dare voce a chi non ha voce», ma senza «usurpazione»: devono essere gli individui che vivono in condizioni svantaggiate a capire «di aver qualcosa di importante da dire e da dare». La rilevanza dei progetti di inclusione che vengono portati avanti traspare dalla passione con cui ce li descrive la coordinatrice del centro d’ascolto. Si va dal “Tè delle tre” – uno spazio di discussione a partire dalle esperienze personali su tematiche proposte dal Messaggero cappuccino [mensile di cultura e formazione cristiana dei frati minori cappuccini dell’Emilia-Romagna, ndr] – a “Semi”, che prevede la coltivazione di tre orti messi a disposizione dalle parrocchie della diocesi. Ma il progetto più ambizioso è “Radio estensione”: una redazione radiofonica realizza una trasmissione con cadenza mensile. «Ci sono esperti di musica, cucina, cinema, calcio, viaggi. Tutte persone che vivono per strada. Sono emersi competenze e talenti che altrimenti non sarebbero venuti fuori».
«Un’azione straordinaria», la descrive Errani, «che oggi è stata potenziata e può diventare una buona pratica. Occorre che la politica possa far divenire ordinario ciò che è straordinario». Parlando con chi si occupa di aiutare coloro che non hanno una casa, si comprende come quella di “senzatetto” non sia una semplice categoria. Si tratta di un mondo, verso il quale troppo spesso c’è ancora indifferenza. «Ciò che toglie il pregiudizio – afferma la Fabbri parlando della propria esperienza – è avvicinarsi e vedere, al di là della categoria, la persona. Allora o il pregiudizio si indurisce – per strada non ci sono santi e, come tutti, ciascuno ha le proprie colpe – oppure si comincia a capire cosa c’è oltre. L’unico cammino possibile è avvicinarsi a loro, darsi la pena di guardare oltre la buccia», conclude con la schiettezza di chi quel mondo lo conosce bene.
Le immagini: a uso gratuito da publicdomainpictures.net.
Edoardo Anziano
(LucidaMente, anno XV, n. 170, febbraio 2020)