Il parere di un nostro lettore sulla recente sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione
Riceviamo da un ex ergastolano, che, dopo circa 40 anni di detenzione, è tornato a essere non solo un libero cittadino, ma anche un operatore comunitario a tempo pieno. Anche per questo e, visto il tema trattato, volentieri pubblichiamo.
Ci risiamo, è ripartito il convoglio dei ricchi premi e cotillon per il divertimento assicurato di giovanissimi e meno giovani, ma tutti insieme a sballarsi appassionatamente. Non costituirà più reato coltivare, in minima quantità e per uso personale, la cannabis in casa propria. Questa pietra tombale erroneamente definita epocale è stata sancita dalla recente sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione, il massimo organo della Corte.
Così è stato deliberato, tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. La farà franca nuovamente il solito luogo comune: tranquillo popolo genitoriale-professorale, “in fin dei conti sono solo ragazzate”. Saranno solo poche piantine, poca roba per strafarsi comodamente in casa propria. Il principio attivo passa in secondo piano, come il chi assume, perché sulla carta certamente saranno esclusi i minori dalla grande abbuffata, dopo di che quei giovanissimi saranno ospiti privilegiati di cortigiani furbacchioni e commensali delle grandi occasioni. Insomma, nuovamente a pagare il dazio più pesante risulteranno i più giovani, proprio quelli che ipocritamente uno Stato dovrebbe maggiormente tutelare. Con tono roboante è stato stabilito che la salute pubblica non verrà inficiata. Come collettività non pagheremo alcunché, se non gli inciampi, le cadute, le tragedie che ne scaturiranno.
Perché, dietro questa apertura-ariete travestita da bene giuridico, c’è la malattia, la sofferenza. Infine, anche le assenze che diverranno presenze costanti per chi della propria coscienza non fa buona manutenzione. Insomma, siamo il paese di un passo avanti e due indietro, del decido io, anche se non mi compete. In fin dei conti il legislatore è diventato poco più di un assente ingiustificato, e anche se la scienza ci dice che è un suicidio autorizzare la roba, noi dobbiamo stare sereni, perché all’arrivo eventuale dei controlli, ogni cosa, ogni seme, ogni foglia, sarà al suo posto, come giusto e legale che sia. E, se magari qualcosa d’altro sarà fuori posto, sarà fuori quadro, addirittura mancherà all’appello, ah beh, allora ce ne faremo una ragione; in fin dei conti è con questo metro di misura che anche la vita umana perde il suo valore.
Siamo all’impatto e al ribaltamento di ogni principio fino a ieri sancito ed erogato senza se e senza ma, come a voler significare che adesso intuizione e creatività in ambito “ricreativo” potranno esprimersi ai più alti livelli, sempre che l’artificio sia partorito in quantità abbordabili, in spazi del nucleo famigliare preferito o meglio apprezzato per il proprio divertimento. Ah, dimenticavo. Questa revolution giuridico-sociale sarebbe l’antidoto per evitare eventuali inserimenti nel mercato illegale degli stupefacenti, una difesa ben pensata per proteggere chi ne fa uso personale e non venderà né favorirà alcuno con la propria mercanzia. Mi chiedo se il rispetto sia ancora la prima forma d’amore tra gli esseri umani: è importante dare risposta a questo quesito, perché, in base all’interlocuzione, obbligatoriamente dovrà trasformarsi in una relazione educativa. L’impressione è che questa nuova impostazione giuridico-culturale sulle sostanze altro non sia che una ferita che mina profondamente il formarsi di una struttura psicologica tendenzialmente sana.
Quando un adolescente si sentirà legittimato a farne uso (anche rimanendone escluso per la minore età ma introdotto nelle quiete stanze dal gruppo dei pari e soprattutto dalle orde di adulti infantilizzati) difficilmente potrà orientarsi verso la scelta consapevole che sta a monte della libertà, e quindi del rispetto per se stessi, per l’ambiente, per le cose, per gli altri. Non si può insegnare il valore del rispetto ferendo la dignità altrui, perché avere dignità sottende la consapevolezza di ognuno e di ciascuno di valere qualcosa e soprattutto di non giungere mai a usare gli altri. Non si tratta di esprimere un’obiezione ideologica sulla droga, ma un’opposizione basata sulla non accettazione che esistano droghe buone e droghe cattive, bensì esiste la droga e fa male. Su questo solco invalicabile, la scelta di non andare a ingrossare le fila di una indifferenza sociale. Perché l’approccio alla salute pubblica ha un impatto positivo recuperando buona parte dei giovani e non certamente affascinandoli con la roba non più agli angoli della strada ma addirittura dentro casa.
Vincenzo Andraous
(LucidaMente, anno XV, n. 169, gennaio 2020)
Se l’opinione pubblica fosse correttamente informata sulla reale dannosità/pericolosità delle sostanze dopanti (legali e non), l’approccio verso le stesse sarebbe molto diverso:
https://medicinaonline.co/2018/01/22/classifica-lancet-della-pericolosita-delle-droghe/