Il ricco ritorno dei Portfolio evoca la mitica star del Michigan, ma è pure impreziosito da tanta creatività e sperimentazione
Esce oggi, 22 novembre, per IRMA Records, il terzo album del gruppo reggiano composto da Tiziano Bianchi, Emilio Marconi, Bojan Fazlagic, Giacomo Parmeggiani e Marco Frattini. L’ultima volta che avevamo sentito parlare dei Portfolio era nel 2014 con Due, un prodotto, per usare le parole della recensione del nostro direttore Rino Tripodi: «vario, ritmato, struggente e luminoso».
Ed ora, ecco l’ultima fatica discografica intitolata Stefi Wonder, la quale inevitabilmente evoca con un tono quasi irriverente il celeberrimo Stevie Wonder. La prima delle otto tracce che dà il nome all’intera raccolta fa, appunto, eco in modo divertente e leggero alle sonorità del famoso cantautore polistrumentista del Michigan. Un richiamo non solo sonoro ma persino visivo, se si presta attenzione al font impiegato nella copertina del disco. Una ripresa delle scene, dunque, a primo impatto dirompente, soprattutto se si pensa alle lyrics della canzone sopracitata, come nel punto in cui recita: «Ballo senza te / Dance!». Un ritmo energico, sostenuto, in parte, anche all’inizio del secondo componimento Io e Stan, seppure questo risulti meno funky del precedente e più ammiccante, forse, al pop-rock. Cambiano, però, i contenuti che non inneggiano più alla danza, ma aprono la strada a quello che pare un piccolo percorso interno al cd, costituito da movenze progressivamente più slow e che suggeriscono malinconia: Agosto e Che gioia. Il primo rappresenta una perla tutta al femminile, scritta e cantata dall’ospite dell’album Claudia Domenichini (già collaboratrice dei musicisti di Reggio Emilia nello scorso lavoro). Nulla che c’entri con lo stile della star della discografia americana, Wonder.
Si tratta di una composizione davvero struggente, e per rendersene conto è sufficiente ricordare il ritornello: «Ho bisogno di ridere, ho bisogno di urlare, / non lo voglio quest’umore. / Ho bisogno di ridere, ho bisogno di urlare, / non lo voglio questo sapore che mi dà. / Questo agosto non è normale, / non mi va di pensare». Uno sfogo che dà voce a quel sentimento d’indolenza dal quale si vorrebbe uscire, ma spesso non se ne hanno le forze. Il caldo del mese di agosto, quell’atmosfera di afa e ozio rendono perfettamente l’idea d’insofferenza; non resta altro da fare se non lasciare che «tutto si risolva da sé» e si dissolva.
Altra curiosa chicca è la quasi completamente strumentale Fluidità, e naturalmente del tutto sperimentale. Un originale dialogo di tre minuti abbondanti, principalmente tra la batteria di Frattini e il basso di Bianchi. Si odono giusto in conclusione voci in lontananza e si intuisce la parola che dà poi il titolo alla canzone. Un esperimento al quale occorre farci l’orecchio ma che poi si apprezza di più a ogni nuovo ascolto. Sempre seguendo la sequenza della tracklist, viene successivamente ripreso un bit leggermente più vivace, per tornare in chiusura a Scuola strumentale reggiana, un brano di nuovo senza alcuna voce, ma con una preponderante presenza da protagonista del flicorno di Bianchi. Nel complesso, quindi, un’opera varia, ricca, personale e creata su basi istintive nella quale si alternano voci e generi attraverso diversi tentativi musicali posti in contrapposizione alla tendenza indie-italica.
Infine, se si volesse trovare un filo rosso all’interno di un lavoro così diversificato, esso potrebbe essere raffigurato dai personaggi che lo popolano: per la maggior parte adulti pretenziosi e lievemente arroganti (a modo loro) che, però, soffrono o hanno sofferto; un po’ come la maggior parte delle persone ferite. Allora, quale miglior consiglio e conclusione se non un verso de I suoi organi: «Accetta questa angoscia, dai / e cerca dentro le tue verità. / Adattale, adattale, adattale».
Le immagini: la copertina dell’album Stefi Wonder e il gruppo Portfolio.
Arianna Mazzanti
(LucidaMente, anno XIV, n. 167, novembre 2019)