Parlando di violenza sessuale, ci si muove in un territorio dai confini spesso labili. Oltre a stabilire i parametri che indicano una violenza, è necessario comprendere quando la risposta affermativa a un rapporto sia esente da coercizioni
“No è no”. Un concetto che potrebbe sembrare semplice, ma che non è stato ancora assimilato pienamente. Il noto slogan del movimento femminista trova la sua ragion d’essere nel retaggio patriarcale che vede la donna come una preda da conquistare e il corteggiamento come una caccia. L’espressione forte e chiara del dissenso serve allora a scardinare questa convinzione, a far capire che si può anche non desiderare, sedurre o essere sedotte.
Molti uomini ritengono di essere rifiutati perché da parte delle donne sarebbe malvisto concedersi al primo approccio, o perché esse intendono farsi desiderare, e che, quindi, per ottenere un “sì” basti insistere. Niente di più retrogrado e sbagliato: i tempi sono cambiati e cambieranno ancora. Il “no” non è la base di un negoziato, né lo stimolo a provarci ancora o con più convinzione. Questa è la premessa da cui partire per sviluppare un pensiero più articolato. Il diritto penale sessuale italiano risulta infatti arretrato prevedendo, secondo l’articolo 609 bis, il modello di consenso vincolato: per dichiarare violento un rapporto, la vittima deve essere stata costretta fisicamente o con minacce. Il fatto che la volontà sia stata espressamente negata, se poi non c’è opposizione materiale all’atto, è assolutamente irrilevante (La violenza sessuale e il consenso, il Post). Dunque, una donna che abbia pur ripetuto il suo “no”, e sia poi rimasta pietrificata dalla paura o si sia rassegnata a liberarsi al più presto possibile dell’aggressore, è considerata consenziente.
E qualora ella compia l’atto dichiarandosi d’accordo o non opponendosi, ma sotto effetto di alcool o sostanze stupefacenti, è comunque ritenuta in grado di intendere e di volere. È quindi lampante il bisogno di una riforma del sistema giuridico in tal senso. Vi sono, oltre al vincolato, altri due modelli legislativi, in cui varia l’importanza attribuita al consenso. In quello limitato, adottato in Germania, è considerato stupro qualsiasi rapporto avvenuto nonostante l’espressione del dissenso da parte della vittima. In quello puro, in vigore nel Regno Unito, conta invece l’aver dato risposta affermativa alla proposta avanzata, quindi non l’aver manifestato dissenso, ma avere espresso un assenso, ovviamente nel caso in cui si fosse lucidi e in grado di farlo.
Idealmente dovrebbe essere riconosciuta una violenza tutte le volte che non si dice esplicitamente “sì” e che non si è pienamente convinti di avere un rapporto (una spiegazione esaustiva del concetto si può trovare nel video Tea Consent). Detto questo, sorgono alcune riflessioni sulla natura di tale “sì”. Riflessioni che sono anche molte donne a dover fare. Capita, infatti, che non si sappiano distinguere situazioni di coercizione da situazioni in cui il consenso è dato in totale libertà; e l’ultima dichiarazione di Lory Del Santo ne è la prova. La soubrette ha appunto affermato che se è il risultato di una decisione consapevole, concedersi sessualmente per fare carriera non sia sbagliato. Ma già agire nella speranza di ottenere qualcosa in cambio non rende libera la scelta: come si può pensare che una giovane aspirante attrice voglia davvero fare sesso per ottenere una parte? Certamente preferirebbe ottenerla per il suo merito. Non è escluso che qualcuno potrebbe sentirsi a proprio agio nell’accettare di avere un rapporto di questo tipo, ma ciò non significa che la sua sia una decisione esente da coercizione. Forzare il proprio volere, che sia per affermarsi in ambito lavorativo o per soddisfare il marito (e non anche se stesse), non è libertà. Nessun uomo deve pretenderlo e nessuna donna deve pensare che rappresenti un’opzione.
Prima di esprimersi positivamente riguardo a una proposta, ci si dovrebbe sempre chiedere: “In quali circostanze sto dicendo ‘sì’? Perché ci si aspetta da me che lo faccia? Ne ho davvero voglia?”. È perciò chiaro che non si è mai obbligate a concedersi. Accanto a una storica (e purtroppo non ancora finita) battaglia del femminismo, quella per il rispetto del “no”, se ne apre dunque una nuova: rendere le donne sempre consapevoli dei loro “sì” e far loro comprendere le situazioni in cui questi consensi non sono pienamente liberi. Combattere quindi il maschilismo e il modello patriarcale radicati nella società, che coinvolgono anche molte donne che vi vivono. “No è no” non basta più; la vera vittoria femminista si avrà quando anche il “sì” sarà davvero sentito.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIV, n. 160, aprile 2019)