Gli ultimi attentati in Nuova Zelanda e in Italia e il “caso Battisti” hanno riaperto il dibattito su se e quanto gli scritti, le dichiarazioni politiche e i mass media provochino o alimentino la violenza. Le (discutibili) provocazioni di Millet nel suo “Elogio letterario di Anders Breivik” del 2012
Nel giro di pochi giorni la terribile carneficina in Nuova Zelanda, una strage evitata per miracolo in Italia e il caso del terrorista comunista Cesare Battisti hanno riaperto il dibattito sui “cattivi maestri”, cioè quei pensatori che, anche se non direttamente colpevoli di violenze, possono stimolarne in menti magari un po’ eccitate o deboli. Ma anche sul peso della propaganda politica e dei mass media nel provocare odio e intolleranza.
Riepiloghiamo più che i fatti, già noti al lettore, i nodi del dibattito. Il 15 marzo scorso il cosiddetto suprematista bianco Brenton Tarrant, 28 anni, australiano, entra in due moschee di Christchurch (Nuova Zelanda) uccidendo con un mitra circa cinquanta islamici. Non ha agito spinto solo da un odio istintivo. In Rete ha pubblicato un ampio scritto (The Great Replacement), il cui titolo, “La grande sostituzione”, riprende le idee dello scrittore francese Marcel Camus sul pessimo destino futuro dei popoli occidentali sostituiti brutalmente da islamici e africani. Crema: il 20 marzo l’autista di autobus Ousseynou Sy, 46 anni, di origine senegalese ma di nazionalità italiana, rapisce i 51 ragazzini dell’autobus che guidava, legandoli e cospargendo il mezzo di sostanze infiammabili. Orrore evitato dall’eroismo dei carabinieri.
Nei confusi discorsi pronunciati dopo la cattura, il mancato stragista pare motivare il proprio gesto con le morti di migranti nel Mediterraneo e con le politiche migratorie del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Farneticazioni che sembrano quasi copiate dall’ineffabile Laura Boldrini o da un esponente cattocomunista del Partito democratico. Terzo caso. 27 marzo: finalmente il terrorista rosso Cesare Battisti, consegnato dal Brasile all’Italia dopo decenni di latitanza, ammette i quattro omicidi da lui commessi durante gli “anni di piombo”. Delitti negati non solo dallo stesso assassino, ma da tutta l’intellighenzia di sinistra, più o meno radical chic, che ha protetto per decenni, in Francia e altrove, il latitante.
Come si vede, si tratta di casi criminalterroristici molto differenti tra loro, accomunati però dal fatto che sarebbe facile attribuirli a “cattivi maestri”, alla propaganda politica o ai mass media. Detto che la libertà di espressione è un principio intoccabile, certo sarebbe preferibile che scrittori e giornalisti evitassero toni e messaggi di odio (si vedano, ad esempio, le due recenti copertine de l’Espresso che riproduciamo e, più in generale, l’insulto “fascista” pronunciato a piè sospinto dalle sinistre verso chi ha un pensiero diverso, insulto che nasconde l’assoluta mancanza di argomentazioni logiche contrarie – e, per par condicio, una di Panorama). Anche scuole e università dovrebbero essere libere da ideologie, soprattutto dall’attuale pensiero unico globalista e multiculturalista; dovrebbero essere spazi aperti, nei quali siano liberamente confrontate le varie posizioni ideali.
E passiamo a un caso reale di provocazione intellettuale, di paradosso, che rischia di suscitare odio. Lo scrittore francese Richard Millet è noto per il suo pensiero libero e per il suo splendido stile. Su LucidaMente di lui abbiamo già recensito L’antirazzismo come terrore letterario (a cura di Renato Cristin, Liberilibri, 2016, pp. XL-44, € 15,00). Nel 2012, anno di edizione in Francia del volumetto appena citato, aveva pubblicato anche Lingua fantasma. Saggio sulla riduzione in povertà della letteratura, seguìto da Elogio letterario di Anders Breivik (edizione italiana Liberilibri, 2014, pp. 120, € 15,00). Nulla da eccepire sulla prima parte dell’opera. Lo scrittore lamenta giustamente l’attuale proibizionismo verso le idee non conformi al pensiero unico, l’appiattimento, il cieco irenismo, l’islamizzazione dilagante, e, infine, la povertà cui sono pervenuti le lingue e le letterature francesi ed europee. S’è infatti tradita, secondo Millet, «l’idea stessa che abbiamo della letteratura come esperienza interiore, e in particolare del romanzo come luogo dove la letteratura si mette alla prova […] riducendo il romanzo al solo intreccio».
Il vocabolario dell’Occidente si è impoverito perché «la nuova religione punta anzitutto a mantenere, nel linguaggio, distinguo e differenziazioni adatti a camuffare gli scontri sessuali, etnici e religiosi che rodono il tessuto sociale europeo sotto il nome di multiculturalismo». La nostra società è caratterizzata da «malthusianesimo, eugenismo, dittatura del piacere sessuale, divertimento obbligatorio, propaganda, condizionamento, rifiuto della solitudine e del silenzio, […] onnipotenza dell’immagine, specializzazione tecnica, interdizione di libri […], analfabetismo, deculturazione, odio del sapere, della purezza, della grandezza». Crediamo che Millet abbia ragione quando afferma che oggi viga «l’odio della letteratura e della spiritualità» e che viviamo «nell’immondizia […] letteraria, artistica, musicale, cinematografica, architettonica».
Il tutto rientra in un progetto finale di «indistinzione razziale, etnica, religiosa, sessuale, culturale», mentre, d’altro canto, si assiste alla «divinizzazione politico-mediatica dell’Altro – dello straniero, dell’immigrato, del clandestino» grazie alla continua stimolazione dei sensi di colpa per le Guerre mondiali e l’imperialismo europeo; ma «noi non siamo figli dei crimini del XXX secolo. Non ne siamo colpevoli». Discutibile è invece la seconda parte del libro. E non tanto per i contenuti critici, sempre apprezzabili, sulla nostra società decadente, in preda alla sottomissione al delirio ideologico globalista, quanto per l’“elogio” di Breivik. Per chi non lo sapesse, Andreas Breivik è un terrorista norvegese di estrema destra, che nel 2011 ha massacrato 69 giovani socialisti riuniti in un seminario nell’isola di Utøya e che forse non è stato adeguatamente condannato.
Il suo scopo? Inviare un «messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista» e denunciare la «decostruzione della cultura norvegese per via dell’immigrazione in massa dei musulmani». Insomma, qualcosa di simile a Tarrant. D’accordo che all’inizio dello scritto Millet afferma di non approvare la strage, però riteniamo opportuno non lasciare il campo ad ambiguità e a tacite connivenze. I rischi sono almeno due. Il primo è quello di surriscaldare la mente di qualche altro fanatico. Il secondo, sicuro, è quello di fornire argomentazioni a chi non accetta il pensiero divergente dal politicamente corretto. Un’ideologia, quest’ultima, che, sotto le apparenze “buoniste”, è invece davvero intollerante e violenta.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIII, n. 160, aprile 2019)