Lo spettro delle dipendenze appare in tv, accendendo le polemiche e mettendo in crisi la Rai. Ma esporle alla gogna e trattarle come un tabù potrebbe sortire l’effetto contrario. Ve ne spieghiamo i motivi
Non è facile trattare di droghe su un servizio pubblico radiotelevisivo che coinvolge milioni di persone. Lo sa bene la Rai, ultimamente nell’occhio del ciclone per due ragioni: il taglio di scene del film The wolf of Wall Street, trasmesso in prima serata e il cui protagonista assumeva cocaina, e la presenza a Sanremo del rapper Achille Lauro, in gara con la sua canzone Rolls Royce che pare incitasse all’uso di ecstasy.
Per chi non avesse goduto delle tre ore targate Martin Scorsese, la pellicola narra della vita di Jordan Belfort e delle vicende che lo interessano, in quanto broker determinato ad arricchirsi in un mondo spietato e folle come quello della finanza newyorkese. Anche se romanzata, la storia è vera: Belfort ha condotto un’esistenza di eccessi, dal sesso alle droghe, passando per le truffe che lo hanno reso milionario. Molti hanno quindi ritenuto che privare il film delle sequenze più scomode sia stato come mutilarlo, fornendo una rappresentazione soltanto parziale della biografia del broker. La polemica riguardante Rolls Royce nasce, invece, da un servizio del programma serale Striscia la Notizia, nel quale si evidenzia come alcune pasticche di ecstasy riportino il logo della casa d’auto che ha dato il titolo alla hit di Lauro. La canzone, inoltre, cita artisti dallo stile di vita notoriamente dedito ad alcool e stupefacenti, quali Amy Winehouse, Marilyn Monroe, Jimi Hendrix.
Le critiche sono dunque arrivate per due motivi diametralmente opposti: nel primo caso è stata contestata la censura, nel secondo la non-censura dei contenuti. Insomma, sembrerebbe che, quando si tratta di dipendenze, si sbagli in ogni modo: sia che le si mostri sia che le si nasconda. La soluzione è parlarne, ma in maniera diversa. Sensibilizzare e rendere più responsabile il giovane pubblico su tematiche così delicate passa attraverso una sola strada: la conoscenza.
Creare un tabù attorno alle droghe rischia di aumentare la curiosità attorno ad esse. Mostrare apertamente come gli effetti piacevoli siano solo momentanei e seguiti da conseguenze disastrose è molto più efficace. Fingere che la cocaina non procuri euforia, tagliando per esempio le scene in cui il “lupo” di Wall Street ne fa uso, può essere controproducente: l’adolescente “ignorante” in materia si chiede cosa ci sia di speciale in quella sostanza, tanto da rovinarsi la vita. Suppone quindi che si provi una sensazione meravigliosa, che cambi l’esistenza, se chi ne fa uso è pronto a ripercussioni così terribili, ed è infine tentato di provarla. Bastava far parlare il film: attimi di sballo, in cui ci si sente invincibili, cedono subito il passo all’assuefazione, che costringe il protagonista ad assumere sempre di più polvere bianca, fino a raggiungere una dipendenza fisica e psichica. Starà al singolo valutare quanto valga la pena rischiare, ben conscio di entrambe le facce della medaglia.
Occorre poi un po’ di sano realismo: è parecchio improbabile che un ragazzino sia iniziato all’ecstasy solo perché sente una canzone a Sanremo che (secondo alcuni) vi farebbe riferimento, anche perché la musica affronta il tema da sempre [vedi anche Come l’uso di psicofarmaci ha influenzato la musica (e viceversa), LucidaMente]. Così come è difficile che provi la cocaina sulla base di una pellicola in cui si parla di un mondo di lusso e spensieratezza chiaramente iperbolico. Chi realmente cade nell’abisso delle droghe pesanti generalmente ha alle spalle un contesto ben diverso da quello patinato dello showbiz.
C’è da chiedersi perché una persona scelga l’alterazione momentanea, l’astrazione dalla realtà in favore di una bolla di serenità e alienazione, soprattutto se lo fa tanto spesso da divenirne dipendente. Forse ha trascorsi difficili, non ha prospettive che spingano a pensare al futuro. O frequenta ambienti ai margini della società, poveri di servizi e tutele, come alcune periferie (San Lorenzo, gli abitanti sulla morte di Desirée: “Una tragedia annunciata”, RomaToday). Ma ci sono infiniti motivi o, qualche volta, possono non essercene affatto: i casi di tossicodipendenza sono talmente vari (a partire dal tipo di sostanza, fino alla storia di chi la usa) che sarebbe impossibile analizzarli tutti, né è questo lo scopo di chi scrive. Così come non lo è offrire soluzioni a un problema tanto complesso: si vuole in tale sede capire quale sia il ruolo dei mezzi di comunicazione, se essi contribuiscano a costruire attorno agli stupefacenti un immaginario glamour, collegandoli a vip e star hollywoodiane, o siano invece colpevoli di un eccessivo silenzio a riguardo.
È importante trattare la questione da tutti i punti di vista, ma evidenziando le differenze fra i vari contesti: un ragazzino che compra pasticche in strada non può pensare di incorrere negli stessi pericoli di un ricco finanziere che le consuma nella sicurezza della sua villa. Gli spazi in cui si parla di droga non possono dunque essere ridotti a film e canzoni sulla “vita spericolata”. In questo senso si può, sì, parlare di responsabilità dei mass media, che dovrebbero dedicarvi programmi di approfondimento e informazione, anziché censurare maldestramente dove non necessario.
Le immagini: pasticche di ecstasy del tipo Rolls Royce; un frame di The wolf of Wall Street; le vele di Scampia, quartiere all’estrema periferia nord di Napoli.
Alessia Ruggieri
(LucidaMente, anno XIV, n. 159, marzo 2019)