Trent’anni fa moriva il grande scrittore belga-francese. Nei suoi romanzi viene delineato un mondo che oggi si fa fatica a riconoscere
Era il 4 settembre del 1989. All’età di 86 anni si spegneva a Losanna Georges Simenon. Era nato a Liegi, in Belgio, il 13 febbraio 1903 (all’anagrafe George Joseph Christian Simenon), ma nel 1922, dopo la morte del padre, si trasferisce a Parigi.
Vivrà anche in varie località del pianeta e scriverà moltissimo: 192 romanzi (75 aventi come protagonista il celebre commissario Maigret, più 28 racconti) firmati e 176 pubblicati con 27 pseudonimi, ripubblicati in Italia da Adelphi. Da molti sono stati tratti bei film. Tuttavia, i più collegano il narratore solo alla capitale francese e ai “gialli” del celebre commissario, che ha trovato nell’attore bolognese Gino Cervi (1901-1974) il migliore interprete. In realtà, se sicuramente di buon livello letterario sono i romanzi con Maigret, i vertici artistici vengono raggiunti da Simenon in altre opere, alcune “gialle”, altre no. Comunque, sia nei romanzi polizieschi (con Maigret o meno), sia nei restanti, il canovaccio e lo scenario sono sempre simili. Mariti e mogli, uomini e donne, borghesi, denaro, sesso, tradimenti, perbenismo, ipocrisie, rancori mai sopiti (Il gatto, 1967).
Soprattutto odi sedimentati, passioni sfrenate, ascese sociali a ogni costo. Fa da sfondo un mondo popolato da personaggi di ogni ceto sociale e un paesaggio, a volte urbano, a volte periferico o campagnolo, oggi quasi dimenticato. Commercianti, bottegai, piccoli negozianti, artigiani, tipografi, sarti, cappellai, calzolai, cestai, pescivendoli, fruttivendoli, macellai, taxisti, muratori, marinai, postini, falegnami, meccanici, pescatori, battellieri e tantissimi operai e prostitute… una massa popolare vivace e pulsante. Gli immigrati nordafricani vengono chiamati semplicemente «arabes» e gli altri, senza tanti problemi, «negri».
Abbondano bar e bistrot, trattorie, mercati, empori, negozietti, librerie, negozi di antiquariato, cinema, stazioni di servizio-officina. La natura è viva, ricca di acque marine e fluviali, porti, chiuse, chiatte, paludi. Le usanze, le abitudini, i costumi: tutti non fanno che bere e fumare, fumare e bere; è davvero incredibile la quantità di alcolici e di tabacco che si consumava a quei tempi! Le case borghesi hanno una o più domestiche a servizio, provenienti dalle campagne. I prezzi e il costo della vita dovevano essere estremamente bassi se tutti i ceti sociali si recano di continuo a bere, pranzare, cenare in locali pubblici, usano il taxi con disinvoltura e, come appena detto, domestiche e cameriere pullulano nelle case “perbene”. E questo vale non solo in provincia, ma pure per Parigi… Provateci oggi!
Le donne non sono mai le protagoniste in senso stretto dell’azione. Quasi sempre il punto di vista del narratore coincide con quello del protagonista, un maschio. Eppure, sono le donne a essere le vere artefici, i motori degli avvenimenti: affascinanti, a volte spietate, ciniche, sempre spinte da una passionalità cieca e istintiva, che non conosce limiti e ostacoli. Esse sono circonfuse da un’aura di mistero e di sensualità ineffabile, come leggiamo ne Il passeggero del Polarlys (1932): «Come spiegare l’alone di voluttà che la circondava, che emanava da lei. E, soprattutto, come conciliarlo con quella sua aria infantile? […] Che fosse vestita di nero o di rosa, che fosse fasciata in abiti di seta o di lana, s’intuivano le sue forme ed era come se si percepisse il calore e il profumo della sua carne. Se si chinava, gli sguardi scivolavano istintivamente dentro la sua scollatura. Quando camminava, gli occhi seguivano le sue gambe piene, dalle caviglie sottili e allo stesso tempo carnose».
Donne esseri selvaggi e naturali, forze della natura capaci di condurre gli uomini alla rovina (La scala di ferro, 1953; Il piccolo libraio di Archangelsk, 1956; In caso di disgrazia, 1956; La camera azzurra, 1964). Tuttavia, più in generale, quello che colpisce è l’enorme distanza tra i romanzi di Simenon e il mondo odierno, così come esposto in più libri da Éric Zemmour (vedi Dalla Francia all’Europa, come ci siamo ridotti così o La crisi dell’universo maschile secondo Éric Zemmour). Ovviamente non si tratta di celebrare l’elegia dei “bei tempi andati”, ma di domandarsi freddamente se si stia costruendo un futuro migliore del passato.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIV, n. 165, settembre 2019)