Diario di viaggio di quattro giorni trascorsi nella città partenopea, tra luoghi intrisi di storia, arte e cultura… anche gastronomica
Il fascino di Napoli non conosce stagioni. È questo il bilancio della nostra escursione partenopea nei primi quattro giorni di novembre, sotto la premurosa guida di due amici napoletani doc, ineccepibili padroni di casa. Si parte!
Giovedì 1° novembre: partiti da Bologna, dopo un viaggio di tre ore e mezzo, giungiamo alla stazione centrale di Napoli alle ore 15,35. Raggiunto in metropolitana il quartiere collinare Vomero, in piazza Vanvitelli ci attende un caffè da gustare rigorosamente con “tre c”, che qui preferiamo decodificare in “comodo, carico e caldo”. Avvicinandoci al nostro alloggio, veniamo invasi da un profumo di dolciumi: lungo via Scarlatti scorgiamo numerose casette di legno che espongono, per assaggi e vendita, le cioccolate più svariate per tipologia e provenienza. Cosa c’è di meglio poi della metropolitana per fare un tour orientativo della città? Soprattutto se si rimane incantati – come noi – alzando lo sguardo, mentre si sale la scala mobile fino alla fermata Toledo. Percorsa l’intera, omonima strada, si apre piazza del Plebiscito, in tutta la sua maestosità e bellezza.
Entrando in Galleria Umberto I ci sembra, per un attimo, di essere a Milano. Rimirato quindi l’esterno del Teatro San Carlo, ci incamminiamo verso il lungomare. Qui ceniamo a base di mozzarella di bufala, svariati antipasti di pesce e pastiera napoletana, zeppole, babà e delizie al limone. Prima di rientrare in taxi al Vomero, ci concediamo una passeggiata nei pressi di Castel dell’Ovo, così denominato per la leggenda secondo cui Virgilio vi nascose nei sotterranei un uovo dal quale sarebbe dipeso il destino del castello e dell’intera città.
Venerdì 2 novembre: deliziato il palato con brioches ischitane e zeppole, non ci facciamo sconfortare dalla pioggia copiosa. Muniti di ombrello e impermeabile, grazie a un provvidenziale pullman affittato tramite una app, raggiungiamo Pompei, dove ci attende Giada, la guida turistica prenotata giorni prima per la visita agli scavi. Giovane e spigliata, ci conduce con simpatia e competenza fra le strade dell’antico borgo romano, costruito con ingegno per superare i limiti dell’assenza di una rete fognaria. Veniamo improvvisamente catapultati nella civiltà romana del 79 d.C., anno dell’eruzione del Vesuvio in una Pompei già compromessa dal terremoto del 62 d.C. Giada ci aggiorna innanzitutto sul materiale oggetto dei recentissimi ritrovamenti archeologici che posticipano la data della distruzione rispetto a quella nota (24 agosto): mosto in fase di invecchiamento e bracieri utilizzati per il riscaldamento.
Ma, soprattutto, una moneta raffigurante l’acclamazione di Tito imperatore (post 8 settembre 79 d.C.) e un’iscrizione a carboncino datata 17 ottobre 79 d.C. La descrizione della dinamica eruttiva ci fa comprendere, una volta in più, di che cosa sia capace la natura: interi paesi sono stati seppelliti dal materiale piroclastico eruttato. La popolazione non ebbe scampo: lo dimostrano i calchi di gesso – realizzati post Unità d’Italia – che racchiudono scheletri di persone e animali deceduti perlopiù per soffocamento. La nostra massima commozione? Alla vista di un cane intento a districarsi dalla stretta di una catena al collo, di quella di un bambino morto nel sonno e di una schiava intenta a ripararsi il volto con le braccia.
Le condizioni meteorologiche ci impediscono di visitare la Villa dei Misteri con gli affreschi del triclinio e il lupanare, ambiente adibito al piacere sessuale mercenario. Ci stupisce scoprire che fossero allora attive 38 attività riconducibili alle odierne panetterie, oltre a 89 esercizi commerciali che oggi chiameremmo snack bar. Il nostro sguardo cade quindi sui numerosi simboli fallici beneauguranti, visibili sulla soglia di domus e negozi, raffigurazioni sostituite – con l’avvento del Cristianesimo – da una cornucopia, genesi del celebre corno rosso. Visitiamo poi il foro e lo spazio adibito alla Spa (dal latino Salus per aquam, “la salute attraverso l’acqua”), oltre a un paio di abitazioni ricche di affreschi e di mosaici. La visita pompeiana si conclude con una gustosa spaghettata alle vongole. Rientrati in pullman in centro a Napoli, passiamo per piazza del Gesù nuovo e visitiamo il chiostro del Monastero di Santa Chiara, annesso all’omonima chiesa costruita interamente in tufo. Le variopinte maioliche fanno da cornice a un percorso che ci accompagna verso le antiche terme.
Nella Cappella Sansevero ci rapisce la maestria di Giuseppe Sanmartino nello scolpire interamente in marmo il Cristo velato: un corpo sdraiato avvolto da un velo tanto sottile da far distinguere perfino l’unghia degli alluci. E la rete marmorea realizzata da Francesco Queirolo nel Disinganno appare ai nostri occhi morbida come fosse di corda. Risalendo poi la cosiddetta via “Spaccanapoli” verso la chiesa di San Paolo Maggiore in piazza San Gaetano, respiriamo atmosfera natalizia: una sfilata di presepi – esposti dalle botteghe artigiane – raffigura arti e mestieri locali e protagonisti odierni come Donald Trump, Harry e Meghan sposi e l’eterno Pino Daniele.
La magia prosegue in pasticceria con un’abbondante merenda a base di sfogliatelle e “torrone dei morti”; nonché, più tardi, con una gustosa pizza gourmet – tipica con bordo alto – servitaci a spicchi diversamente farciti. Sabato 3 novembre: scampiamo dalla pioggia poiché trascorriamo la mattinata a 50 metri sotto terra. Raggiunta piazza Plebiscito, costeggiando lo storico caffè letterario Gambrinus, varchiamo l’angusta soglia della Galleria borbonica, scendendo ben 90 scalini sconnessi e poco illuminati. Il viadotto sotterraneo, commissionato all’architetto Errico Alvino nel 1853 da Federico II di Borbone aveva un preciso scopo: creare una via di fuga che – attraversando il monte Echia – collegasse Palazzo Reale a piazza Vittoria, prossima a mare e caserme. Il progetto fu modificato a causa d’impreviste problematiche nella realizzazione: il tunnel divenne così un vero e proprio rifugio antiaereo per migliaia di persone durante il secondo conflitto mondiale.
In un’atmosfera intrisa di umidità, mistero e miseria, la guida ci mostra alcune scritte impresse sui muri: una vera e propria testimonianza di chi, sfidando i bombardamenti e la fame, si sentiva ancora vivo. La Galleria borbonica, dal 1945 al 1970 adibita anche a Deposito giudiziale comunale, è oggi visitabile in tre diversi percorsi, a cura dell’Associazione culturale borbonica sotterranea, finanziata esclusivamente grazie al turismo. Un timido sole ci permette poi di goderci il lungomare prima di salire al Museo nazionale di San Martino, nei pressi di Castel Sant’Elmo. Qui ammiriamo la vista esclusiva sulla città, il chiostro, la chiesa e il presepe napoletano del ’700 completo di Benito, l’immancabile “pastore dormiente”.
Pomeriggio di leggerezza intorno alla centralissima via Chiaia, la zona dello shopping. Tornati al Vomero in funicolare, la giornata si conclude in un raffinato ristorante. Ma che fatica raggiungerlo, in un vero e proprio slalom fra la moltitudine di persone e le auto che sfrecciano senza sosta! Domenica 4: la nostra avventura napoletana volge al termine. In mattinata riusciamo ad acquistare i tipici taralli – da consumare tiepidi per esaltarne il gusto – e del cioccolato al gianduia. Desideriamo portali con noi, nella speranza di accorciare così la distanza che separa Bologna dal capoluogo campano. Raggiunta in metropolitana la stazione centrale, in attesa di salire sulla carrozza ci sentiamo le gambe stanche e gli animi rilassati: non possiamo ancora immaginare l’insolito viaggio che ci avrebbe atteso (un cambio di treno e un ritardo di 75 minuti). Ma, se questo è il prezzo che abbiamo dovuto pagare per i giorni magici trascorsi a Napoli, abbiamo saldato il conto molto volentieri!
Si ringraziano Stefania e Mario, Delia e Gianni, per la dedizione e la disponibilità a farci scoprire Napoli.
Le immagini: l’oculo della stazione della metropolitana Toledo; la veduta del Castel dell’Ovo; un graffito della Galleria borbonica; un particolare della rete della scultura Il Disinganno e una tipica sfogliatella napoletana… o salernitana (foto a cura di Fabio Benassi e di Nicoletta Tomba).
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno XIII, n. 156, dicembre 2018)