I motivi della scelta e le ripercussioni che il voto contro la proposta di legge a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza avrà sul Paese sudamericano
Il 9 agosto scorso il Senato argentino ha respinto (38 a 31) il testo di legge che avrebbe depenalizzato l’aborto nella nazione. Dopo lo storico voto, a favore, della Camera in giugno, la popolazione si è divisa: da un lato i “pro vita”, che hanno ricevuto un ampio sostegno da parte della Chiesa cattolica; dall’altro le attiviste “pro aborto”, riunite attorno al movimento femminista Ni una menos. Le immagini della piazza con i fazzoletti verdi (per la legge) e azzurri (contro) sono diventate il simbolo dell’attuale spaccatura sociale del Paese sudamericano.
Gli argentini sostenitori non sembrano voler arretrare di un passo nella battaglia verso quello che considerano un diritto. In centinaia, nelle ultime settimane, hanno manifestato a fianco del gruppo Collective apostasy 18 – che da anni chiede la separazione tra Stato e Chiesa – dichiarando pubblicamente di rinunciare alla propria appartenenza all’istituzione ecclesiastica, ritenuta colpevole di influenzare in maniera eccessiva la politica. Tra il primo e il secondo voto, difatti, la Conferenza episcopale argentina ha svolto una pervasiva campagna contro la proposta di legge. Alcuni leader cattolici sono arrivati a sostenere l’analogia tra la stessa e il programma eugenetico nazista. Non è un caso che molti senatori abbiano giustificato la loro scelta ricorrendo ad argomentazioni religiose, prima fra tutte la «difesa della vita fin dal suo concepimento», ma c’è stato anche chi ha affermato che esistono stupri senza violenza, se vengono commessi in famiglia (leggi anche Citizengo: «Aborto prima causa di femminicidio»).
Nonostante l’illegalità dell’interruzione volontaria di gravidanza, migliaia di donne e giovani vi ricorrono comunque. Ma il costo medio per un aborto in una struttura privata è di duemila euro: spesa insostenibile per la maggior parte della popolazione in un Paese ad alto tasso di povertà come l’Argentina (vedi anche Vi racconto l’inferno delle donne argentine, costrette a morire a causa degli aborti clandestini). Secondo un rapporto dell’Osservatorio dei diritti umani, sono circa cinquecentomila gli aborti clandestini eseguiti ogni anno, situazione aggravata dalla mancanza di politiche per l’educazione sessuale.
La normativa respinta avrebbe legalizzato la pratica entro le prime 14 settimane di gestazione, in modo gratuito e in qualunque struttura sanitaria, considerando inoltre tre eccezioni che l’avrebbero resa possibile anche oltre questo termine: violenza sessuale, pericolo di vita per la donna e gravi malformazioni del feto. Dal momento che la Costituzione argentina stabilisce che ora non potranno essere riproposti disegni di legge in merito da qui a dodici mesi, ogni decisione sarà rinviata al 2019. Tuttavia, trattandosi di un anno elettorale, non ci si aspetta che la politica del Paese tornerà facilmente a schierarsi su una tema così scottante, rischiando di perdere voti. Oltretutto, dai sondaggi sembra che la maggioranza della popolazione sia favorevole all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel frattempo il dibattito resterà vivo e i gruppi di attiviste hanno fatto sapere che continueranno a tenere i riflettori accesi sulla questione, sperando di smuovere anche le coscienze più conservatrici (leggi anche Aborto, storytelling di una legge).
Le immagini: manifestanti argentine “pro aborto” deluse dal voto (foto Ansa); i fazzoletti verdi simbolo della lotta a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza (foto Clarín).
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 153, settembre 2018)