Il secondo disco del gruppo, “Minor Mali” (autoprodotto), trascina, diverte, commuove
Nella parte interna della copertina del cd è riprodotto un mappamondo. Gli otto componimenti sono collocati nelle tante parti del pianeta (Africa, Sud e Nord America, Australia, fino allo spazio, con la settima traccia, La Cometa di Halley) che hanno ispirato le musiche, i ritmi, le atmosfere del disco. Il tutto unificato dall’amore per il jazz manouche (noto anche come gipsy jazz), che dà il colore di fondo al tutto.
A distanza di ben sei anni dal loro primo lavoro (Mapo Salato, Irma Records, 2012), i Minor Swing Quintet, quattro uomini e una donna di stanza a Bologna, tornano col loro secondo album, Minor Mali, rigorosamente autoprodotto (la realizzazione del disco è stata possibile grazie ai 220 raisers che l’hanno finanziata in anticipo, coprendo interamente le spese… e i sostenitori sono ringraziati uno a uno all’interno dell’album). Una band eterogenea, che assume il proprio nome da uno dei brani più famosi di Django Reinhardt (1910-1953), geniale chitarrista jazz sinti-belga-francese. I componenti del quintetto sono: Francesco Angelini (tastiera); Alessandro Cosentino (violino); Matumaini (chitarra ritmica); Pollo Prosperini (chitarra solista); Tommy Ruggero (percussioni); e nell’ultimo brano, SambaSabar, c’è da registrare la partecipazione di Mbar Ndiaye, grande percussionista di Dakar (Senegal).
Provenienti da percorsi musicali differenti (dal rock al soul, dalla world music alla musica classica), i Minor Swing Quintet sono in grado di creare, grazie ad arrangiamenti freschi e ardimentosi, un sound unico, vivace, solare, allegro, coinvolgente. In Minor Mali, nelle nostre orecchie, sotto i nostri occhi, scorre tutto un mondo di paesaggi, di umanità, di passioni, dalle sonorità diverse, eppure in armonia tra loro. Si inizia con la trascinante Tipitappi. Il brano Minor Mali, che dà il titolo all’album, è raffinato, con suggestioni rock e progressive. Splendido il violino di Cosentino nel malinconico Vittorio, dedicato ad Arrigoni, l’attivista morto a Gaza nel 2011. Violino che, in Black Shark, ci ha ricordato quello di Papa John Creach. Vario nel suo svolgimento il settimo brano, Split.
Come afferma il gruppo: «Questo disco è la nostra dichiarazione d’amore alla musica, di quanto crediamo nei rapporti umani, nella stima reciproca, e di quanto sia meraviglioso suonare insieme. Lo dedichiamo a tutte le persone che vogliono continuare a seguirci nel nostro viaggio: da Bologna al Mali, dagli Stati Uniti al Nord Europa e in qualsiasi altro posto vorremo andare. Chiudete gli occhi, aprite il vostro cuore e godetevi il nostro disco». E aggiungeremmo noi, citando le parole di Totò nel bellissimo finale del cortometraggio Che cosa sono le nuvole di Pier Paolo Pasolini (1967, quarto episodio del film a più mani Capriccio all’italiana): «Oh, straziante, meravigliosa bellezza del Creato!».
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XIII, n. 150, giugno 2018)