Un nostro lettore ci racconta una sua “esperienza di vita”, che lo ha profondamente disilluso
Le elezioni di domenica scorsa hanno sancito il crollo del Partito democratico renziano, del centrosinistra e delle sinistre. Uno dei motivi di tale fenomeno epocale può essere anche il legame malato che si è venuto a costituire tra tali partiti e il mondo delle cooperative [vedi Cooperative dalle mani sporche, ndr], universo meno limpido di quello che ancora molti immaginano. Ma che, una volta venuto alla luce, non induce certo gli elettori a votare per i partiti che sostengono tale sistema. La lettera che ci è pervenuta e che riproduciamo di seguito per intero non può che rafforzare tale analisi.
Vorrei far partecipi (per grandi linee) i lettori di LucidaMente di una mia esperienza di vita.
Ci troviamo in Emilia. Io entrai nel mondo cooperativo nel 1980 (cooperative primarie di autotrasportatori), giovane, pieno di ideali, speranze e voglia di fare. Dopo poco, mi resi conto di essere entrato nel mondo del “compagno, tu lavora che io magno”. In certi casi, il numero degli amministrativi raggiungeva percentuali inquietanti (rispetto a quello dei cosiddetti “soci lavoratori”)… naturalmente tutte/i familiari, parenti o amanti dei dirigenti. Il tutto finanziato da percentuali da cravattari sul fatturato lordo di chi lavorava. Se un dirigente, causa incompetenza o peggio, portava la “sua” coop al fallimento, la settimana successiva il “Partito” lo aveva già ricollocato con incarico di responsabilità in altra cooperativa.
Si facevano assemblee/farsa per far “votare” ai soci decisioni già prese a tavolino con i politici locali. C’era il cosiddetto “risparmio sociale”: potevi mettere i tuoi risparmi in cooperativa, a un tasso più vantaggioso di quello che ti facevano in banca. In base alle leggi vigenti, c’era un limite massimo depositabile. In alcuni casi, si decideva nella solita finta assemblea di elevare quel limite… Dopo qualche tempo la coop falliva, e i soci perdevano i risparmi di una vita di lavoro.
Si scopriva poi che i dirigenti avevano prelevato i propri risparmi dalla cassa comune in tempo utile… prima che si volatilizzassero. In una cooperativa di cui sono stato socio per un paio d’anni, i libretti del risparmio sociale erano custoditi tutti in una cassaforte celata dietro gli armadietti degli spogliatoi dell’officina comune (avevano convinto i soci che lì sarebbero stati più sicuri che a casa). Poco prima di entrare in procedimento fallimentare, i dirigenti tolsero i propri libretti dalla cassaforte, e qualche giorno dopo misteriosi ladri rubarono la cassaforte, andando a colpo sicuro, come ne conoscessero l’ubicazione. Così ai soci fu preclusa la possibilità di entrare a far parte dei creditori nella procedura di fallimento. Sistema Emilia-Romagna.
Lettera firmata
(LucidaMente, anno XIII, n. 147, marzo 2018; editing e formattazione del testo a cura di Antonella Colella)