Attraverso arte visiva e performance che coinvolgono vista e tatto, la sound artist americana esplora nuovi modi di percepire il suono senza l’uso dell’udito
La statunitense Christine Sun Kim è nata sorda, e fin da bambina le è stato insegnato che il suono non era parte della sua vita, che non la riguardava. È così cresciuta affidandosi alla visione sociale comune, secondo la quale, chi non usa la propria voce per comunicare è come se non ne possedesse alcuna.
Sentiva perciò di non avere rilevanza sociale e di non poter esprimere se stessa in modo realmente autonomo e libero. Dopo anni in cui, da artista, ha cercato di far parlare le sue opere al proprio posto, Sun Kim (in arte Csk) si è resa conto che era proprio il proprio handicap nel percepire il suono a fare di quest’ultimo un elemento importante nella sua vita: da persona sorda, infatti, è come se si trovasse in una terra straniera, ignorante delle leggi che la governano, dove deve adattarsi a comprendere tutte quelle norme che chi produce suoni deve seguire. «Non masticare a bocca aperta», «Non fare rumore mentre gli altri dormono», «Non sbattere la porta quando esci»: sono solo alcune di queste “etichette del suono” – come lei stessa le definisce – che per chi sente sono consuetudini fisiche, naturali, ma per un non udente sono convenzioni sociali da apprendere come qualunque altra.
Sulla base di questa nuova consapevolezza, Sun Kim ha deciso di rivendicare il proprio possesso del suono e la propria visione di esso, esprimendo entrambi nella sua sound art (vedi anche Christine Sun Kim, a Selby film on Vimeo). Facendo tesoro della propria esperienza nel percepire le vibrazioni acustiche e della propria abilità nell’associare le reazioni delle persone a determinati rumori, Sun Kim indaga le possibilità del suono utilizzando come materia prima del suo lavoro eventi sonori di qualsiasi natura.
L’artista ha così creato una vasta gamma di opere visive e di performance sensoriali per far esperire al suo pubblico il suono attraverso sensi diversi da quello dell’udito, come la vista o il tatto (vedi anche Christine Sun Kim: artista in ascolto). Un’ulteriore direzione in cui negli anni si è orientata la sua attività è stato l’esaminare la lingua dei segni americana (Lsa) attraverso una lente musicale. «Musica e Lsa sono linguaggi molto simili – spiegava l’artista sul palco di Ted nell’agosto 2015 – una nota musicale non può essere catturata a pieno ed espressa su carta; lo stesso vale per un concetto nella Lsa. Sono inoltre entrambe molto spaziali e modulate: una piccola variazione può cambiare totalmente il significato generale». Partendo da queste affinità, Csk ha quindi pensato che, ripetendo i segni della Lsa con peculiari modalità, avrebbe potuto creare una melodia (vedi il discorso completo su Ted Christine Sun Kim. L’incantevole musica della lingua dei segni).
Csk ha così gradualmente trovato la propria “voce”, paradossalmente proprio nel suono, ma ha anche permesso a coloro per i quali esso è un elemento familiare e naturale, di approcciarvi da una diversa prospettiva. In quest’ottica, Christine consiglia anche agli udenti di interessarsi alla lingua dei segni, di non considerarla come qualcosa che non li riguardi: «Viviamo in un mondo molto audiocentrico, e solo perché la Lsa non ha suono, si crede non abbia valore sociale. Cambiare questo punto di vista potrebbe essere un passo avanti verso una società più inclusiva».
Le immagini: Christine Sun Kim accanto a una sua opera (da The Guardian) e al lavoro (immagine da Vimeo).
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XII, n. 144, dicembre 2017)