Uno studio americano spiega la nascita e la diffusione delle idee destinate al grande mercato mondiale
Sfatare un mito per costruirne un altro. È questa l’operazione svolta da Derek Thompson, esperto di economia e media del The Atlantic, nel suo ultimo saggio Hit makers. The Science of Popularity in an Age of Distraction (Penguin). La viralità è una chimera dei nostri tempi, il velo dietro cui nascondersi quando si tenta di spiegare il repentino successo di una novità immessa sulla rete.
La strada maestra che conduce un’intuizione a trasformarsi in un fenomeno sociale passa, innanzitutto, dalla distribuzione di un broadcaster autorevole. Quando l’autore afferma «il contenuto è il re, ma la distribuzione è il regno», intende dire che molti spunti interessanti rimangono anonimi nell’eterogeneità della rete, non essendo supportati da una adeguata strategia di diffusione. Come si sviluppa, ulteriormente, questa catena di montaggio del successo? Attraverso una formula: “MAYA”, Most Advanced Yet Accettable, la cosa più avanzata e comunque accettata (acronimo ripreso da Raymond Loewy, designer degli anni Cinquanta). Un continuo oscillare fra l’attrazione per il nuovo e il timore per lo stesso: è questa l’altalena che regola i meccanismi sociali, economici e psicologici odierni. Un eterno ritorno che rassicura, protegge, soprattutto in un’epoca in cui i contenuti sono sempre più abbondanti e i filtri sempre meno efficaci.
Dovremmo dunque aspettarci un appiattimento totale, una ristampa contemporanea del romanzo La noia di Alberto Moravia? Non del tutto. Un modo per rompere l’incantesimo c’è, seppur creato dall’incantesimo stesso. Nelle accademie di moda o marketing si studia il modello di Kid A dei Radiohead, l’album che più si discosta dalle caratteristiche tradizionali della band inglese ma che ha venduto, nonostante ciò, un milione di copie. Sulla stessa linea Beyoncè ha osato con Lemonade come quarto album o Michael Jackson con Thriller come sesto.
Vuol dire cavalcare l’onda di un successo già avviato: la montagna è già stata scalata e ci si può affacciare per godersi il panorama. Una volta in alto, perché non focalizzare l’attenzione anche su quel gruppetto in disparte, su una minoranza. Sottolinea Thompson: «Successi storici risultano pensati per un pubblico ristretto: Facebook è nato per far socializzare le matricole di Harvard e non certo per connettere il mondo». L’eccessiva ricerca del plauso, conduce spesso al suo contrario. Meglio muoversi cautamente, avvalorare l’idea originale ma comunemente accettabile, d’avanguardia e tuttavia con un retrogusto di tradizione. Il salto sul mercato è sempre accompagnato da una mano rassicurante, che guida all’innovazione e alla costante appetibilità.
Giorno dopo giorno, le Hit makers oscilleranno fra i due poli del fenomeno mastodontico e di quello circoscritto, cancellando un continente intermedio di cultura media. Un costante moto di azione e reazione, di opposti che coesistono: nessuna regola scritta, nessuna precisa volontà da parte dell’utente. Mutare per restare immutati.
Laura Faccenda
(LucidaMente, anno XII, n. 139, luglio 2017)