Implicazioni etiche e giuridiche della proposta di legge sul testamento biologico approvata alla Camera e all’esame del Senato
Con 326 voti favorevoli e soli 37 no, il 20 aprile 2017 la Camera dei deputati approva la proposta di legge sul fine vita avanzata della relatrice Donata Lenzi (Partito democratico) in materia di Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Un primo passo importantissimo per l’Italia; una conquista sociale e politica che cambia radicalmente il modo col quale il nostro Paese si approccia a una tematica, quella del fine vita, tanto delicata quanto troppo spesso procrastinata (vedi anche Testamento biologico, la legge passa alla Camera. Bene, ma…). Ora la legge dovrà passare al Senato per l’approvazione definitiva.
Eutanasia, suicidio assistito, Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), cure palliative, sono divenuti nel corso degli anni temi scottanti e riflessioni comuni nei discorsi dei cittadini italiani, sempre più allarmati dagli scenari inaccettabili che un certo tipo di medicina disumana prospetta. Le tecnologie mediche di oggi, infatti, dischiudono una condizione impensabile fino a mezzo secolo fa: la possibilità, cioè, di continuare a vivere grazie a supporti artificiali. Dalla dialisi alla ventilazione, idratazione e nutrizione artificiale, la scienza odierna incide pesantemente sulla quantità di vita delle persone. Ma cosa rimane della sua qualità? Si potrebbe dire che la qualità della vita venga rispettata nella misura in cui è rispettato il progetto di vita che ogni persona costruisce, in modo libero, autonomo e coerente, attraverso le proprie decisioni. Condizioni patologiche gravi, soprattutto quelle che sfociano nell’incapacità di intendere e volere, disallineano la persona con il suo progetto di vita provocando una sofferenza forse ancor più grande di quella fisica.
Allo stato attuale, nessun cittadino italiano può ricorrere a una legge che gli garantisca di poter decidere autonomamente su di sé e sul proprio corpo, anche in insopportabili situazioni cliniche. Allo stesso modo, il medico che accetti il rifiuto di cure o terapie invasive e senza alcuna reale prospettiva di guarigione è ancora penalmente perseguibile per legge. Con la proposta di legge avanzata in questi mesi, tutto questo sta per cambiare. L’Italia sta per dotarsi di uno strumento giuridico essenziale per porre al centro del tema fine vita il rispetto dell’autonomia e dignità della persona anche nelle circostanze più gravi.
Il nodo centrale della proposta di legge è rappresentato dal consenso/dissenso informato. Ciò vuol dire che l’ultima parola spetta sempre e solo al paziente: nessuno, neanche il medico, può decidere al posto suo. E questo vale sia per trattamenti ordinari sia per terapie particolarmente invasive, il cui rifiuto può determinare la morte della persona stessa. E ciò ha valore non solo per chi può esprimere direttamente le proprie volontà. Attraverso le Dat, un documento scritto nel quale il cittadino lascia in forma scritta le proprie volontà nel caso dovesse ritrovarsi incosciente e/o incapace di intendere o volere, viene riconosciuta alla persona una grandissima possibilità: quella di scegliere liberamente fino alla fine. Questo strumento giuridico ha già un precedente nei registri comunali che dal 2010 sono attivi in diversi comuni italiani. Pur ostacolati dallo stesso governo, che vedeva in questi registri una delegittimazione delle proprie competenze, la loro istituzione ha lanciato un messaggio forte, dal basso, alle sfere politiche più alte. Non si può aspettare: c’è bisogno di una legge chiara ed efficace che tramuti la sofferenza e le battaglie di pochi in un diritto per molti.
Scienza, diritto, politica non possono isolarsi all’interno delle loro sfere d’influenza ma si devono interfacciare reciprocamente affinché venga messa al centro di qualsiasi decisione l’uomo e il progetto che ciascuno compie sulla propria vita. Per questo, oggi più che mai, c’è bisogno che l’Italia sappia guardare con coraggio al tema del fine vita, consegnando ai suoi cittadini tutti gli strumenti politici e giuridici per renderli donne e uomini protagonisti della propria esistenza fino alla fine.
Marta Perin
(LucidaMente, anno XII, n. 138, giugno 2017)
Ottimo articolo, per il quale ringrazio e mi complimento. Certo l’Associazione Libera-Uscita Onlus, alla cui iniziativa si deve il primo Registro Comunale dei TB nel Gennaio 2009 nel X Municipio di Roma, si augura la rapida approvazione in Senato del disegno di legge sul Testamento Biologico. Non possiamo però non ricordare il grave vulnus all’autodeterminazione sulle cure presente nel comma 5 dell’art. 4 dove si ricava che, in caso di contrasto tra fiduciario e medico, il medico fa quello che ritiene opportuno in scienza e coscienza ed il fiduciario, se crede, può ricorrere al Giudice Tutelare. Va da sé che questo punto dovrà essere rivisto ed emendato negli anni che verranno. Il Fiduciario è la persona che viene nominata perché sia la nostra voce per quando noi non avremo più voce; se la persona che ha steso le DAT non avrà esplicitamente delimitato il ruolo del fiduciario, a questi e a nessun altro dovrà competere se autorizzare o meno le terapie proposte dai sanitari.