Sentimenti, drammi esistenziali e approfondimenti sociologici in “Un mondo da buttare” (edizioni Italic & Pequod), di cui pubblichiamo la “Postfazione” di Michele Monina
È da poche settimane in libreria il nuovo romanzo di Ausilio Bertoli (scrittore del quale LucidaMente aveva già segnalato qualche anno fa il pregevole L’amore altro. Un’odissea nel Kosovo; vedi Tra i sentimenti, la guerra e la morte). Il Veneto, specie la provincia di Vicenza, terra d’origine, e Padova, terra d’adozione dello scrittore, sono al centro del dramma esistenziale dei protagonisti di Un mondo da buttare, edito da Italic & Pequod (168 pagine, € 15,00). E, ancora una volta, i veneti del sociologo e romanziere entrano in rapporto diretto con la gente dell’Est Europa, in questo caso una giovane lettone, che si illude di trovare in Italia la terra promessa. Per introdurre il lettore alle tematiche e all’arte narrativa di Un mondo da buttare, ne pubblichiamo di seguito la Postfazione del noto scrittore, giornalista e direttore artistico Michele Monina.
Contrapporre sentimenti a lineamenti è esercizio interessante, di quelli destinati al fallimento, alla rovina, alla sconfitta certa, senza neanche iniziare la partita. Un po’ come affrontare il cubo di Rubik senza conoscerne la soluzione. Ci si passa del tempo, magari ci si illude pure di potercela fare, finendo invariabilmente per girare a vuoto, noi lì a muovere le mani senza un preciso senso logico, i colori che si inseguono ma non si raggiungono mai. Perché i lineamenti, i corpi, le forme, forme che per una volta sottintendono sostanza, e non a caso si manifestano sotto forma di un culo, vincono sui sentimenti, come Rubik vince sul nostro claudicante intuito.
Costruire un romanzo in cui la ricerca spasmodica di sentimenti condivisi da parte del protagonista, in questo libro anche voce narrante, entra in collisione, a volte anche una collisione violenta, quasi apocalittica, con la società dei corpi esibiti, inseguiti e toccati è quindi operazione quanto mai contemporanea. Lo leggi e ti senti figlio dei nostri tempi. Sensazione non necessariamente gradevole, vedremo in seguito, ma quantomeno precisa, catalogabile facilmente. Neanche l’autore avesse deciso di usare stilemi rubati ai social o la sintetica sintassi degli smartphone. Il fatto è che in un Nord-Est rarefatto, dove la provincia impera anche sulla città trasformando pure Padova in una nebbiosa nebulosa scontornata fatta di nomi di vie e niente più, il tentativo di Stefano Vitti, pubblicitario, di entrare in collisione con altri esseri umani diventa quasi una ricerca spielberghiana dell’arca perduta.
Come a voler prendere le distanze dal suo ambito professionale, nel quale i corpi sono merce, e la loro estetica è il significante e il significato, Stefano imbastisce una serie di rapporti complicati con le figure femminili che incrociano la sua strada, tenendo a debita distanza i legami sentimentali come quelli fisici e sessuali. Rapporti quindi effimeri già in partenza, ma perseguiti ossessivamente, con un’insistenza invadente, innaturale.
La vicina di casa Barbara, prima a cristallizzare il concetto di inadeguatezza rispetto ai canoni estetici imperanti, la lettone Katrina, incarnazione della sessualità, la psichiatra Sarah, in qualche modo destinata a far implodere la fortezza della solitudine imbastita dal protagonista, la giornalista Dalia, vero personaggio positivo di questa storia, tutte queste donne insieme danno vita a una sorta di costellazione dentro la quale si perde lo sguardo del protagonista di questo romanzo che, fosse uscito anni addietro, sarebbe giocoforza divenuto soggetto per un film di Carlo Mazzacurati. In una trama che procede prevalentemente per dialoghi e scatti narrativi, l’inseguimento affannato dell’amore ultimo procede di pari passo con l’allontanamento, fisico e spirituale dall’estetica del fondoschiena, sintesi perfetta dello zeitgeist. Come per chi schiva i sentimenti rifugiandosi solo in una sorta di collezionismo di corpi, Vitti, marchigiano di stanza in Veneto, ma destinato a un ritorno, prova a risolvere i propri impacci emotivi dedicandosi alla cura dei sentimenti altrui, in un’opera che fotografa con un’ottima risoluzione i nostri giorni, regalandoci un panorama che forse non avremmo voluto vedere: l’oggi.
(Michele Monina, Postfazione a Un mondo da buttare (Italic & Pequod, Ancona, 2017)
Le immagini: la copertina di Un mondo da buttare e il suo autore.
ludovica merletti
(LucidaMente, anno XII, n. 137, maggio 2017)