Perché mettere in discussione il Nobel per la letteratura al cantautore di Duluth è sbagliato in teoria, ma, in pratica, alla luce del duello Clinton/Trump…
Il Nobel per la letteratura a Bob Dylan è stato molto criticato da certe frange di intellettuali. La motivazione principale è che non c’è alcun legame tra musica e letteratura, per cui il cantautore di Duluth non dovrebbe rientrare nella categoria degli scrittori.
Altri sostengono, invece, che Dylan, alias Robert Allen Zimmerman, pur essendo in qualche modo uno scrittore, non fa parte di quella cerchia di narratori che compongono opere di alta letteratura. È come se si dicesse: «Cosa c’entra Dylan con Yeats, Mann, Hemingway, Camus, Saramago e tutti gli altri insigniti di tale onorificenza?». Ammetto di essere di parte. Lo chiarisco subito perché detesto i malintesi. Adoro Dylan. Non solo lo adoro a tal punto che ho tutti i suoi dischi (rovinati dal continuo ascolto), ma ho anche passato anni a studiare i suoi testi. Credo di essere un vero e proprio «dylaniato». E, conoscendo bene la sua opera, ero certo, fin dal primo minuto in cui è stato annunciato il suo nome come vincitore, che sarebbero sorte feroci polemiche.
D’altra parte, Dylan non ha mai messo d’accordo nessuno. Non è d’accordo nemmeno con se stesso, figuriamoci con la critica. Anzi, per dirla tutta, si è sempre fatto beffe dei critici! E, per questo, non mi sorprende la loro reazione, però mi stupisce che si voglia circoscrivere la letteratura in una sorta di metafisica purezza, raggiungibile solo da chi ha la «patente» di scrittore letterario.
Questa posizione sul musicista di origine ebraica palesa una negazione della forza innovatrice dell’arte, che, invece, procede per contaminazioni. L’affermazione di Alessandro Baricco, «cosa c’entra la musica con la letteratura», oltre a cristallizzare la letteratura stessa, finisce per sottintendere implicitamente un’incolmabile distanza fra la figura dei cantanti e quella degli scrittori: ma Bob Dylan è stato premiato appunto per i suoi testi e non per la sua voce o per la scrittura musicale che lo contraddistingue. Alla domanda «cos’è la letteratura?», sono sicuro che Baricco darebbe una definizione precisa, intelligente, razionale, priva di esitazioni; eppure, dal mio punto di vista, non credo sia possibile definirla rigidamente, pur considerando il suo campo limitato, per cui ritengo le opere di Pirandello letteratura mentre i romanzi Harmony no.
Ciononostante, però, il suo «ambito oggettuale» non è fisso e immutabile come lo immagina Baricco; e i contorni sfumati di questa particolare arte, senza dubbio, possono abbracciare i testi di Dylan come quelli di De André, senza che si debba per forza gridare allo scandalo. Nondimeno, e non sta a me ricordarlo, è pacifico che la poesia nasca in accordo con la musica. Non solo perché la poesia ha una ritmicità intrinseca, ma anche perché nell’antichità essa era accompagnata dalla musica.
In virtù di queste considerazioni, ritengo la critica del Nobel a Dylan inutile, in teoria. Ma non in pratica. Se proprio si vuole contestare la scelta, io contesterei il «quando». Perché proprio adesso? La mia perplessità nasce dopo aver visto il video di alcuni attori di Hollywood che invitavano a non votare Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali americane. La mia è solo un’illazione: tuttavia, chiedo, siamo sicuri che la scelta del Nobel a Dylan non sia ideologica? O almeno politica? Dare questo premio all’autore di Master of War, A hard rain’s a-gonna fall, Desolation row, The times they are a-changin’ ecc. sembra quasi un appoggio dell’accademia svedese e, per estensione, dell’Europa a una certa visione democratica o, comunque, a un punto di vista nettamente distante dai valori e dall’ideologia di Trump.
Con questo premio a Dylan è come se si gridasse «votate Hillary» altrimenti «una dura, dura, dura pioggia cadrà» (ritornello della canzone A hard rain’s a-gonna fall, scritta durante la crisi missilistica a Cuba). Le elezioni del presidente americano riguardano tutto il mondo, non possiamo negarlo. E veder salire Trump sul «trono di spade» americano fa davvero paura. Ad esempio, io ho paura.
Ma sta proprio qui il dramma ideologico di chi fa l’endorsement per Hillary Clinton: non vedere che sono entrambi due facce della stessa medaglia. La dicotomia presentata dai media secondo cui Trump è il male assoluto, mentre Hillary, nonostante non sia una santa, è quanto di più vicino all’idea di bene, è incredibilmente ideologica. Perché tra i due non c’è dicotomia; non è una scelta tra opposti ma tra simili, seppur nelle loro differenze. Continuando a usare lo schema male-bene, si sta scegliendo tra diavoli: Belzebù o Lilith. Perché sia Donald Trump che Hillary Clinton hanno di fondo un solo scopo: l’infinito incremento dell’egemonia statunitense sul resto del mondo… alla faccia del folk singer Dylan!
Le immagini: Bob Dylan all’Azkena Rock Festival (foto di Alberto Cabello da Vitoria Gasteiz); medaglia del premio Nobel e due copertine di dischi di Dylan.
Vincenzo Viviani
(LucidaMente, anno XI, n. 131, novembre 2016)
IMPECCABILE Articolo… e una dura durissima pioggia pare stia cadendo… da mo’…
PERALTRO, Dylan è stato e resta un grande poeta… coi suoi testi supportati da una voce graffiante e strascicata… Si parla di un’Artista, non di un prodotto finito, e l’Arte si percepisce come immortale perché veicola sentimenti e racconti di vita, storie costellate dalle contraddizioni di sempre.
Celebriamo Voci di morti in cammino, e, all’insegna di una bandiera sporcata e redenta, tuttavia… distorsioni.