Oggi, 21 febbraio 2016, lo scrittore David Foster Wallace, suicida nel 2008, avrebbe festeggiato 54 anni. Il film “The end of the tour” ricorda il narratore statunitense rievocandone l’incontro del 1996 con il giornalista David Lipsky in cerca di “scoop”
Il film The end of the tour arriva dopo vent’anni dalla pubblicazione del romanzo fiume Infinite Jest, considerato punto d’arrivo del genio di David Foster Wallace, e qualche giorno prima dell’anniversario di nascita dello scrittore, che il 21 febbraio 2016 avrebbe compiuto 54 anni.
Un regalo di compleanno probabilmente troppo ingombrante per un uomo che visse combattendo la solitudine e le contraddizioni della vita, e che nel 2008 decise di uscire di scena, segnando così il proprio destino di mito, osannato o denigrato a seconda delle generazioni e delle mode. La pellicola del regista James Ponsoldt trae ispirazione dal romanzo Come diventare se stessi, in cui l’autore-protagonista David Lipsky, allora firma della prestigiosa rivista americana Rolling Stone, racconta i cinque giorni (5-10 marzo 1996) passati al fianco dello schivo scrittore. L’occasione è data dal tour promozionale legato all’uscita di Infinite Jest, opera colossale nelle ambizioni e nella mole: più di mille pagine dedicate al tema delle dipendenze e dell’annullamento del desiderio a opera del potere e del denaro.
Grazie alla convivenza forzata, queste vite così diverse troveranno un momentaneo equilibrio, proveranno a fronteggiarsi, a volte anche a sfidarsi, in una conversazione incessante, spesso faticosa e fin troppo sincera. Per il giornalista a caccia di rivelazioni su Wallace, accusato di tossicodipendenza e misantropia, sono giorni intensi, pieni di scoperte ma anche di piccole delusioni: il gigante goffo che si trova a intervistare ha ben poco dello scrittore maledetto di cui parlano i giornali. Invece, per l’autore circondato dal successo, terrorizzato dall’idea di lasciarsi andare a quella fama che gli pare un’impostura, sono giorni difficili, in cui il pensiero di come l’altro scriverà l’articolo non smette di tormentarlo.
Da un lato il David famoso, impersonato dall’attore californiano Jason Segel, una sorta di sosia del vero Wallace, dall’altro il David meno conosciuto, interpretato da Jesse Eisenberg: lo stesso nome a unire caratteri e destini tanto diversi. Per tutta la durata dell’incontro si avverte tra i due una strana tensione, come se i protagonisti non potessero fare a meno di scrutarsi, confrontarsi e mettersi alla prova in un dialogo serrato. Astretto contatto nella casa di Wallace in Illinois, nelle librerie, in albergo, nelle tavole calde, in macchina, in aereo, mentre sgranocchiano cibo spazzatura o guardano la televisione, le parole e gli sguardi dei personaggi sembrano affiorare naturalmente dallo schermo, come se non esistessero né regia né trama.
La cascata di parole è tanto potente da dare l’impressione che “non accada nulla” per tutto il film; in effetti, nessuno dei due grandi interrogativi su Wallace, quali siano le ragioni del suo successo, nonostante lo stile difficile e ostico, e del suo suicidio, trova risposta. Il frammento di vita raccontato con tante parole rinuncia a dare l’ennesima interpretazione sul dramma, ma lascia emergere la tenerezza e l’inquietudine di un uomo fragile, capace di sprofondare in stati di panico e al tempo stesso al sicuro soltanto davanti a un foglio bianco. La pagina è il luogo attraverso il quale entrare davvero in contatto con gli altri, continuando così, per sempre, a parlarci della nostra natura tanto vulnerabile, tanto umana.
Le immagini: la locandina e una scena tratta dal film The end of the tour; lo scrittore americano David Foster Wallace.
Antonella Colella
(LucidaMente, anno XI, n. 122, febbraio 2016)