“Poetry is not good to eat” (Garage Records) del gruppo veneto è un disco raffinato quanto godibile, che avvalora la classe della vocalist e il talento dei musicisti
Ricordate l’infelice quanto rozza frase «con la cultura non si mangia»? Correva l’anno 2011, era novembre, e a pronunciarla fu Giulio Tremonti, l’allora ministro dell’Economia e delle Finanze del governo Berlusconi. D’accordo con lui, dal proprio dicastero, rincarò la dose pure l’ineffabile Renato Brunetta.
Non sappiamo – e probabilmente non lo sapremo mai – se Donna Katya and The SuperFeed, nell’intitolare il proprio disco Poetry is not good to eat, abbiano avuto in mente le parole del duo succitato. E, forse, neanche noi sappiamo se con la cultura, l’arte, la poesia, la musica, si riesca a mangiare, a sbarcare il lunario. Ma sappiamo che si gode. Ed è una vera delizia lasciarsi andare e prendersi un po’ di tempo tutto per sé per ascoltare con calma, per intero, il cd, la multiforme quanto sempre coinvolgente voce di DonnaKatya e gli abili giochi strumentali dei musicisti che amorevolmente “l’accompagnano”. Forse quest’ultimo termine usato sminuisce l’importanza dei The SuperFeed nella riuscita finale dell’opera, ma, del resto, tranne che Love on tape, scritto con Alessandro Antonel, tutti i brani del disco sono interamente una creazione della vocalist, nata Katya Scarpulla.
Che musica è? Cosa caratterizza essenzialmente le varie tracce – tutte rigorosamente cantate in lingua inglese – della band? Sono sì presenti varie influenze musicali, ma possiamo senz’altro affermare che la loro musica è unica, un originale ed equilibrato mix, che accarezza le orecchie dell’ascoltatore senza mai cadere nel banale e nel ruffianesco alla moda. Il cd si apre col brano forse più bello: la dolce, malinconica, struggente Grapevine rows. Segue la canzone che dà il titolo all’intero disco, Poetry is not good to eat, dalle sonorità e dai ritmi un po’ country, alla Crosby, Stills, Nash & Young, tanto per intenderci; così come, anzi, di più, l’ottavo brano, Teenager Overtaking.
Sa di allegro pop anni Ottanta il terzo brano, Brothers and friends, gioioso, vivace, ritmato. Arioso e coinvolgente il successivo Family affair. Segue il “confidenziale” Love on tape, ispirato al film di Michel Gondry Se mi lasci ti cancello (2004). Ironico quanto raffinato il brano 6, Vegas Pink Whale. Trasognante e onirica Pillow pills, mentre Superfeed arriva alla psichedelica pura, con distorsioni sonore che ricordano i Jefferson Airplane. Chiude in bellezza One year after, coi suoi allarmanti ritmi e le sue distorsioni sonore, che si interrompono di colpo. Dunque, alla fine dell’ascolto di Poetry is not good to eat, capiamo che Katya e i suoi amici ci hanno condotto per mano, delicatamente, entro un affresco di poesie sonore, duttili e liquide, hanno dilatato la nostra mente giocando con la musica e le parole come fossero pedine su una scacchiera mai vista, blandendoci con sottili trame personali ed esistenziali che, però, hanno prodotto in noi metafisiche emozioni e ineffabili straniamenti.
Infine, ecco chi sono gli artisti che ci hanno deliziato con la loro performance: DonnaKatya, alias Katya Scarpulla (già voce dei Chinasky), che ha deciso di nascere in Veneto negli anni Settanta, nonostante le sue radici istriane, siciliane e trentine; il produttore Marco Pagot (Chinasky, Maya Galattici); Lisa Cappellazzo (Dogs in a Flat, Thumb); Michele Scarpulla (Dogs in a Flat); Dario Santonastaso (Mr Hankey, Psychosa?); Stephen Trollip (Manta Rays); Alessandro Antonel (Chinasky, Maya Galattici); da non dimenticare il contributo di Matteo Benezzi (Gargantha, Maya Galattici). A produrre il tutto è l’etichetta discografica indipendente Garage records. Che gli dei li benedicano. Anzi, God bless you.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 122, febbraio 2016)
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