Coventry, 14-15 novembre 1940 – Parigi, 13-14 novembre 2015: ricostruzione distopica e ucronica di come l’Europa si sottomise ai tedeschi
Nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1940 la città inglese di Coventry fu rasa praticamente al suolo da un bombardamento aereo. Le vittime furono 1.236, altre migliaia i feriti, dei quali tanti gravissimi. Per molti giorni i mass media inglesi non attribuirono la strage ad alcuno. Dopo circa una settimana, si cominciò a parlare di un bombardamento tedesco; anzi, nazista; anzi, «di matrice nazista».
Subito si levarono voci contrarie a tale definizione. Da anni, infatti, nel Regno Unito vigeva il reato di nazistofobia e molti erano stati i giornalisti condannati per tale delitto. Tra gli altri, Christian Allan e Maurice Finestone. Lo stesso primo ministro britannico, Winston Cameron Churchill, si affrettò a dichiarare che «non era il caso di criminalizzare un popolo: chi aveva bombardato lo aveva fatto per una propria visione distorta della cultura nazista, visto che era noto che il nazismo era una religione di pace». Nel libro sacro del nazismo, il Mein Kampf di Adolf Baghdadi Hitler, non era forse contenuto il commovente, umanitario messaggio che «chi uccide un uomo, uccide tutta l’umanità»?
Qualche esegeta aveva fatto notare che, in realtà, il testo completo era «chi uccide un uomo nazista, uccide tutti i nazisti». E che il prosieguo sarebbe stato: «pertanto, può essere massacrato senza pietà da ogni nazista». Ma tali pseudocritici erano stati messi a tacere perché non avevano ben contestualizzato il testo e, comunque, chi può permettersi di analizzare il profondo significato e i sottili risvolti semantici e allegorici del Mein Kampf, se non un vero sapiente nazista?
E, se pure fossero stati dei tedeschi a bombardare, per i laburisti e le altre forze di sinistra, intanto occorreva distinguere i tedeschi dai nazisti. Non sarebbe stata una buona politica far sì che anche i tedeschi non nazisti, spinti dall’immotivato odio scatenato contro di loro, serrassero le fila col nazismo. E, poi, argomentavano i “giustificazionisti”, come non capire la loro reazioni dopo le umiliazioni del Trattato di Versailles, i casi della Ruhr e della Saar, le persecuzioni dei tedeschi del Volga? Chi chiedeva un intervento armato, insomma una guerra aperta contro la Germania, veniva subito zittito. I benaltristi rispondevano che «erano ben altri i problemi della Gran Bretagna». I nonecosisti replicavano che «non è così che si risolvono le questioni: la violenza chiama altra violenza». Gli anchenoisti ribadivano che «durante l’imperialismo anche noi inglesi abbiamo commesso delle orrende stragi in India, Pakistan, Afghanistan, Birmania, Sudafrica, e la nostra strategia politica internazionale degli ultimi anni è infarcita di abbagli ed errori».
I tedeschi erano intervenuti nella Guerra civile spagnola del 1936-39, avevano annesso l’Austria nel marzo 1938, disgregato la Cecoslovacchia tra l’ottobre 1938 e il marzo 1939, invaso la Polonia il 1° settembre 1939 ed erano entrati a Parigi il 14 giugno 1940. Giungevano talvolta anche notizie di ebrei residenti nel territorio germanico perseguitati, discriminati, addirittura trucidati. Però, seppur sottovoce, si diceva che un po’ se l’erano cercata, visto che occupavano posti di prestigio nel campo economico, finanziario, sociale, professionale, artistico. Si sa; mai esagerare in casa altrui: si diventa antipatici. Il leader della Russia, Vladimir Il’ič Ul’janov Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Putine, aveva da tempo offerto il proprio esercito ai fini di un’alleanza globale in funzione antinazista. Ma gli stati occidentali avevano rifiutato perché erano evidenti gli intenti espansionistici del grande stato euroasiatico.
Le reazioni internazionali erano state compatte e improntate a un identico spirito costruttivo. Il presidente statunitense Franklin Obama Roosevelt aveva apertamente assicurato che «negli Usa la comunità di origine tedesca era ben integrata-inclusa, benvoluta e contribuiva al progresso del Paese, anche pagando, con le proprie tasse, le pensioni degli anziani americani». L’Italia di Benito Renzius si era affrettata già nel 1939 a ratificare un Patto d’Acciaio con la Germania. Qualcuno affermava, anche se a denti stretti, visti la popolarità dell’abile leader italiano e il conformismo e l’omologazione vigenti nel Belpaese, che quel trattato fosse stato fatto per opportunismo e per viltà. Il pontefice cattolico Pio Francesco I ribadiva a ogni occasione che «la ricetta della pace è il dialogo con Hitler e il nazismo e che il miglior modo per raggiungere un accordo e la fine delle violenze era pregare, pregare tanto; in ogni caso, tutte le religioni sono “di pace” e, più o meno, predicano le stesse cose». Oggi, come si sa, l’intera Europa è, infatti, in pace, ordinata, riorganizzata. Sotto il nazionalsocialismo.
Rino Tripodi
(LM EXTRA n. 33, 16 novembre 2015, Speciale stragi Parigi, supplemento a LucidaMente, anno X, n. 119, novembre 2015)
RINO, SEI GRANDE!
Grazie, Mario.
E’ veramente difficile, oggi, leggere articoli di raffinata e colta ironia come quella che ispira e permea il Suo scritto. Vivissimi complimenti!
Gentilissima lettrice, grazie.
Temo, purtroppo, che pochi abbiano colto sia l’ironia, sia il messaggio sottostante.
Continuerò a scrivere per i miei pochi lettori, tra cui lei.
Se le va, diffonda lo scritto. Non tocca a me dirlo, ma chi l’ha letto l’ha definito una “piccola perla”!