Intervista a Giacomo Stella dell’Istituto di Ricerca dislessia evolutiva, per capire di più dei disturbi specifici dell’apprendimento e su quanto la scuola può fare per contrastarli
Molti studenti dislessici venivano bocciati o valutati erroneamente non perché poco intelligenti ma perché necessitavano di una didattica particolare, con misure compensative. La scuola non teneva conto né delle condizioni oggettive, né tanto meno forniva strumenti di sostegno. Le cose tuttavia stanno cambiando grazie alla legge 170 datata 8 ottobre 2010, che riconosce la discalculia, la disgrafia, la dislessia e la disortografia quali disturbi specifici di apprendimento (Dsa), per i quali dovranno essere realizzati percorsi individualizzati in ambito scolastico. Ne abbiamo parlato con uno dei massimi esperti del settore.
Giacomo Stella si è laureato in Sociologia nel 1973 e in Psicologia nel 1977, specializzandosi poi in Epistemologia genetica all’Università di Ginevra nel 1986. Attualmente è professore straordinario di Psicologia clinica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca dislessia evolutiva (Iride) del medesimo ateneo, dell’Università di Urbino e dell’Asl di Pesaro. È direttore dei corsi di perfezionamento in Psicopatologia dell’apprendimento presso l’Università di Urbino, per la quale è anche direttore del centro di Neuropsicologia clinica dell’età evolutiva, e in Psicopatologia dello sviluppo presso l’Università della Repubblica di San Marino. Stella è anche condirettore della rivista Dislessia. Giornale italiano di ricerca clinica e applicativa, edito da Erickson. Esperto di Dsa, è socio fondatore dell’Aid (Associazione italiana dislessia), nata nel 1997 a supporto dei giovani che ne sono affetti e delle loro famiglie. Nel corso del primo convegno regionale in Calabria sul tema, organizzato proprio dall’Aid presso il teatro Grandinetti di Lamezia Terme (Catanzaro), lo abbiamo intervistato per LucidaMente.
Professor Stella, qual è la situazione dei dislessici in Italia?«Su sette milioni e ottocentomila studenti tra i 6 e i 18 anni, circa quattrocentomila hanno difficoltà di apprendimento, cioè il 4-5% della popolazione scolastica. Si tratta di ragazzi intelligenti, che, però, hanno difficoltà a memorizzare, a leggere, a scrivere velocemente senza commettere errori di ortografia, a fare i calcoli a mente, quindi in ambiti molto importanti per la scolarizzazione».
Quanto è preparata la scuola ad affrontare tali casi? E quali sono le misure compensative che si possono mettere in atto di fronte a un Dsa?«In Italia ci sono situazioni molto variegate. In alcune regioni c’è un numero inferiore di strumenti ed eventi di formazione per identificare le problematiche, in altre di più. Certamente la 170 è una legge dello Stato e come tale va applicata su tutto il territorio. Bisogna sforzarsi di realizzare iniziative meritorie, come quest’incontro di Lamezia, per ampliare le conoscenze sui Dsa. Per ciò che riguarda le problematiche degli studenti interessati, esse si risolvono facilmente attraverso mezzi compensativi adeguati che la scuola è ancora lenta ad accettare. Per esempio, molti software utilizzabili, come audiolibri, facilitatori di scrittura e calcolo, vengono indicati nel sito dell’Aid che stiamo riorganizzando e migliorando».
I disturbi dell’apprendimento sono di diversi tipi; essi si manifestano insieme o singolarmente?«La dislessia, nell’ambito della lettura, la disgrafia o disortografia, nell’area della scrittura, e la discalculia, che colpisce la padronanza dei calcoli, possono presentarsi insieme nella maggior parte dei casi perché la causa è unica e di natura neurobiologica. Il disturbo si presenta a grappolo, ossia in concomitanza, ma può anche accadere che con il passare del tempo una componente si sviluppi maggiormente e un’altra meno, in modo tale che si manifesta un unico tipo di problema, che interessa per esempio solo la lettura o il calcolo».
Quando un docente si rende conto del disturbo?«È più facile individuare i ragazzi con Dsa nella scuola primaria. Se un bimbo alla fine della prima elementare non ha imparato a leggere e a scrivere c’è qualcosa che non va, ma non si può ancora dire che sia dislessico. L’Istituto superiore di Sanità, infatti, suggerisce di essere prudenti, in quanto esistono bambini che imparano più lentamente. Ma in seconda, se le cose continuano per questa strada, diventa un po’ più facile capire se c’è un vero e proprio disturbo. Alle superiori è più difficoltoso individuare tali casi perché sono più subdoli».
Un’ultima domanda, professor Stella: per stimolare i ragazzi con Dsa, occorrono tolleranza e comprensione o severità?«Diamo loro prima di tutto gli strumenti per metterli in grado di sperimentare le cose con successo e poi potremo sollecitarli. Ricordiamo sempre che, se chiediamo di correre a qualcuno che ha le scarpe strette e i piedi doloranti, questi non potrà farlo».
Le immagini: il professor Giacomo Stella e l’intervistatrice durante il convegno regionale dell’Associazione italiana dislessia svoltosi il mese scorso a Lamezia Terme.
Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno X, n. 118, ottobre 2015)
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