Realtà, moda o marketing psicofarmaceutico? Ospitiamo il parere del Ccdu
Trasformare i normali problemi della vita in malattie. Alcuni psichiatri annunciano – ottenendo anche ampia risonanza mediatica – la scoperta di una nuova malattia: la depressione post partum maschile.
A questa scoperta “eccezionale” i luminari della medicina sono arrivati… raccogliendo dati da internet, utilizzando i più diffusi motori di ricerca per trovare le narrazioni di uomini (su blog o social network) correlate con alcune parole chiave (disturbo post natale, psicosi post partum, depressione post partum, ecc.). Abbiamo applicato lo stesso metodo di ricerca, scoprendo due nuovi disturbi mentali in meno di cinque minuti: la depressione post pizza (colpisce alcune persone che odiano la pizza e si ritrovano a mangiarne) e l’ansia da brufoli. Questa pericolosissima epidemia di depressione post parto maschile sarebbe comprovata dalle narrazioni di (nientepopodimeno che) 11 uomini: in pratica, quando gli ormoni di una donna si scatenano, il 10% dei mariti accusa facile irritabilità, rabbia, disagio, senso di colpa, sensazione d’inutilità e di disconnessione.
Ci si dovrebbe sorprendere del contrario: uomini sereni, in pace con se stessi e pieni di autostima mentre l’umore della donna che amano va su e giù come uno yo yo. Invece no: la normale reazione a una circostanza della vita viene medicalizzata e trasformata in malattia. In maniera simile il Dsm (Manuale diagnostico e statistico, testo sacro della psichiatria, con l’elenco di 360 disturbi mentali) stabilisce con precisione la durata “normale” del lutto (per quanto tempo è lecito essere tristi per un lutto): superata quella soglia, bisogna chiamare lo strizzacervelli.
Eppure, nessuno di questi 360 disturbi è stato “scoperto”, almeno non nel senso in cui vengono scoperte tutte le “normali” malattie: i disturbi mentali sono letteralmente creati per alzata di mano dall’Associazione psichiatrica americana. Funziona così: uno psichiatra propone una lista di comportamenti umani che lui giudica anormali e, se la maggioranza dell’assemblea è d’accordo, quei comportamenti entrano a pieno titolo nel Dsm come nuovo “disturbo mentale”, per il quale è lecito fare una diagnosi e, soprattutto, prescrivere pillole. Con pochi tocchi di bacchetta magica, si moltiplicano i potenziali consumatori di antidepressivi. In qualche misura il fenomeno è comune a molte specialità farmaceutiche, ma nel caso degli psicofarmaci viene amplificato al massimo dall’arbitrarietà delle cosiddette diagnosi psichiatriche e dall’assenza di riscontri oggettivi.
Gli psichiatri cercano di convincerci che i cosiddetti disturbi mentali siano malattie reali come il diabete o la polmonite, ma, a differenza di queste, non esiste alcun test oggettivo – tac, radiografia, analisi del sangue o delle urine – per diagnosticarli. Nel caso del diabete, un test oggettivo dimostra lo squilibrio chimico (alto tasso di zucchero nel sangue). Il trattamento è a base d’insulina che, effettivamente, abbassa gli zuccheri: i sintomi spariscono e un nuovo esame del sangue conferma il ripristino dell’equilibrio.
Non esiste niente di simile per i cosiddetti disturbi psichiatrici. Il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività non è come il diabete, e la sostanza utilizzata per “curarlo” non è come l’insulina: è un farmaco anfetaminico prodotto artificialmente, e non è necessario alla vita. Il diabete consiste in un’insufficienza d’insulina. I problemi di concentrazione e comportamento non sono un’insufficienza di anfetamina. Il Ccdu (Comitato dei cittadini per i diritti umani, una onlus impegnata nella denuncia delle violazioni dei diritti umani in ambito salute mentale) chiede il rispetto del diritto al consenso informato sugli effetti collaterali degli psicofarmaci: la favola dello squilibrio chimico è un’invenzione del marketing, non una scoperta scientifica.
Alberto Brugnettini – Comitato dei cittadini per i diritti umani (Ccdu)
(LM EXTRA n. 32, 20 maggio 2015, supplemento a LucidaMente, anno X, n. 113, maggio 2015)