Il musicista umbro sceglie il pianeta con gli anelli come titolo per il suo primo full-lenght (etichetta La Fame Dischi)
Negli ultimi tempi Saturno sembra essere un pianeta particolarmente amato dalla musica italiana. Forse perché è l’astro della malinconia e degli spiriti, appunto, “saturnini”. Già più volte ci siamo occupati di Mirco Mariani, che ha scelto di denominare il proprio progetto ispirandosi al sesto pianeta del sistema solare (vedi Nove cover per Saluti da Saturno; Saluti da Saturno, ovvero l’optigan d’autore).
Da poche settimane un altro Saturno è entrato in orbita. È questo, infatti, il titolo del primo full-lenght di Simone mi odia (al secolo, Simone Stopponi). Nove canzoni cantautorali prodotte da Lorenzo “Buzzino” Corti (in quest’occasione anche chitarrista e arrangiatore) per l’etichetta La Fame Dischi. La nona, Com’è difficile, è una reinterpretazione di un brano di Luigi Tenco; e, se ci è permesso scandalizzare, ci piace di più come lo canta Stopponi. La ripresa di Da qualche parte è un bel pezzo solo strumentale. Le altre sette tracce sono sospese tra ironia (e autoironia), allegria, malinconia, memoria, speranze e aspirazioni. E qualche volta armonie, ritmi e melodie vivaci e gioiose accompagnano contenuti inquieti… o viceversa.
Si tratta, comunque, di un disco intimista, al cui interno l’autore esplora il proprio io; e talora ci prova anche con il proprio inconscio. Sebbene non manchino la quotidianità e la vita presente, a predominare è il recupero del passato, congiunto a infanzia o adolescenza, attraverso un’immersione proustiana con gli stimoli sensoriali di odori, immagini, visioni, mai perduti.
Sono gli stessi testi a fornirci la calda e soffusa dimensione memorialistica di Saturno: «Era più bello alle elementari quel profumo di matita. […] Sento ancora il profumo di pizza / sulla spiaggia a Pesaro» (Betoniera); «Gli anni Novanta: / era sempre inverno, / buio alle cinque / nella mia stanza» (Da qualche parte). A volte Stopponi narra attimi minimalisti, crepuscolari, piccoli incontri umani: «La cameriera / mi ha riconosciuto / e non fa altro che sorridere / alle mie battute / stupide / che son le stesse identiche / di un anno fa» (Uno famoso). In altre occasioni predomina la fantasia, il lasciarsi andare alle visioni e ai dolci inganni dell’immaginazione: «Vedo ancora facce buffe nei disegni delle piastrelle in bagno» (ancora in Betoniera). Tutta I consigli del ragno è uno psichedelico, affascinante, commovente dialogo: «Il gran cuore / a voi uomini / si annida / sopra l’orecchio destro. […] Per il collo / fino al cervello / si arrampicano / i cattivi pensieri».
Simone mi odia si muove, così, a proprio agio entro memorie, incanti, stupori, sogni, miraggi, cifre misteriose, rimandi ermetici, tentato – e chi può dargli torto? – dalla fuga infinita dalla dura realtà. Un accumulo di epifanie e rivelazioni esistenziali, uno straripante, dolce e ondivago appello all’invisibile, un’ipnotica dilatazione di metafisici attimi magici, un metaforico quanto tenace autoinganno screziato di gemme preziose incastonate nell’illusione, quasi nella certezza, di poter fermare il tempo. Per sempre.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno X, n. 113, maggio 2015)
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