Rileggendo “Il cosiddetto male” di Konrad Lorenz: da dove nasce l’aggressività, quali ne sono gli antidoti?
Siamo inorriditi, disgustati, terrorizzati, dalla violenza che vediamo scatenarsi nel nostro mondo. È sempre stato così? È un fenomeno naturale? Cosa si può fare, se non per eliminarla, almeno per limitarla?
Molte riflessioni sul fenomeno aggressività – in natura e nella società umana – e alcune risposte ci vengono fornite dal grande zoologo ed etologo austriaco Konrad Lorenz (Vienna, 1903 – Altenberg, 1989) nell’ormai classico saggio Il cosiddetto male. Il testo fu scritto nel 1963 e pubblicato in Italia da Garzanti nel 1974. L’anno prima (1973) allo scienziato era stato assegnato il premio Nobel per la medicina e la fisiologia. Nei 14 capitoli del libro l’autore indaga dapprima sull’aggressività degli animali. Essa viene distinta in interspecifica (tra specie animali diverse) e intraspecifica (tra i componenti della stessa specie). L’aggressività è naturale e fa parte delle leggi che caratterizzano l’evoluzione (selezione e mutazione).
Il comportamento aggressivo interspecifico ha l’ovvio scopo di procurare cibo al predatore. Quello intraspecifico, invece, ha tre funzioni principali: 1) regola la distribuzione degli esseri viventi entro un determinato territorio; 2) seleziona il più forte attraverso combattimenti tra rivali; 3) difende la prole. Ma non finisce qui. Una certa dose di violenza è riscontrabile anche nell’eros e nella vita “familiare” degli animali. Quello che però per propria natura caratterizza l’aggressività verso le altre specie è che il predatore non uccide più di quanto gli occorra; similmente, è raro che nell’ambito della stessa specie i combattimenti intraspecifici si concludano con la morte di uno dei contendenti. Insomma, violenza spietata, ma entro certi limiti.
Preziosi per il nostro discorso sono gli ultimi tre capitoli del libro di Lorenz,nei quali l’autore adatta alla condizione dell’essere umano i propri studi esposti fino al capitolo XI relativamente soprattutto al mondo animale. Al contrario degli animali l’uomo non riesce a controllare entro determinati confini la propria aggressività, sia interspecifica che soprattutto intraspecifica. E questo per una serie di motivi. Il primo è dato dai «cambiamenti così rapidi e sconvolgenti» ai ritmi di vita naturali «che la adattabilità dei suoi istinti si infranse». Inoltre, in una società dettata da regole e divieti, l’essere umano non trova sufficiente sfogo ai propri impulsi ferini. In altri termini, è ciò che Sigmund Freud definisce «il disagio della civiltà». Al quale si accompagna la sovrappopolazione, che comporta a sua volta, ovviamente, l’incremento del numero degli individui che occupano lo stesso spazio, con conseguente aumento delle pulsioni aggressive.
Inoltre, le armi sempre più «a distanza», cioè lontane dal proprio corpo (dal bastone o dal coltello si passa all’arma da fuoco, dall’arma da fuoco alla bomba lanciata da un aereo, fino agli attuali droni) hanno desensibilizzato l’uomo nell’uccidere un altro componente della propria stessa specie. In pratica, l’eccesso del “sociale”, della “morale” e della “razionalità” non hanno reso migliore l’umanità, ma l’hanno spogliata di un’animalità che poneva limiti naturali all’aggressione sia inter che intraspecifica. I demagoghi sanno bene come sfruttare tale attuale negativa condizione umana per i propri fini totalitari: 1) affermando dei valori vitali da difendere fatti sentire come minacciati; 2) inventandosi un nemico ostile verso tali “ideali”; 3) facendo sentire l’individuo parte attiva e integrata di una massa; 4) ponendosi a capo di questa come leader carismatico e indiscutibile.
E, allora, cosa si può fare per limitare i danni di tale innaturale ipertrofia della violenza umana? Lorenz propone più “ricette”. Conoscere se stessi, ridirigere l’aggressività, sublimarla, ritualizzarla. Molto importante, per tali fini, è lo sport, coi suoi cerimoniali e regole, la competitività, la lotta, la vittoria e la sconfitta finali, che, però, come in natura, non determinano la morte del perdente. Oltre alle attività agonistiche, anche la conoscenza personale degli “altri” tende a «invalidare la pulsione aggressiva». Poi c’è la possibilità del «controllo ragionevole e critico». Ancora: l’istruzione, l’educazione, la cultura… Coi loro corollari, l’arte e la scienza, che, andando alla ricerca della bellezza e della verità, sono di per sé extrapolitici ed extranazionali, super partes, e, quindi, fattori di pacifica comunanza. Infine, il riso: ridere insieme «crea un sentimento di affinità fraterna». Non solo: la comicità smaschera criticamente le finzioni, le falsità, la malvagità. Sì, forse una risata generale salverà il mondo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 106, ottobre 2014)