Il sottile fascino della musica indipendente: quattro dischi dai suoni originali, ricercati, imprevedibili
La musica “non commerciale” (come si diceva qualche tempo fa; oggi può andar bene l’etichetta di “indipendente”?) ha almeno due grandi meriti. Uno è quello di essere sempre “nuova”, visto che va alla ricerca di originali sperimentazioni sonore. L’altro di essere, paradossalmente, sempre “antica”, “classica”, nella sua capacità di recuperare le migliori esperienze della musica e della cultura del passato. Tutto ciò vale ancor di più se si pensa alla mediocrità – sarebbe meglio dire alla banalità e alla bruttezza – dei prodotti “musicali” che ci vengono propinati dai mass media dominanti.
Cerchiamo di accendere quest’estate finora poco “calda” proponendo ai lettori di LucidaMente quattro dischi usciti qualche settimana fa, certo senza grande battage pubblicitario, ma che hanno l’indubbio pregio di delinearsi positivamente per qualità e atipicità. Andiamo in stretto ordine alfabetico per artista e iniziamo con Veleno (etichette Fresh Yo! Label e White Forest), nuovo lavoro di Godblesscomputers, vale a dire Lorenzo Nada, giovane musicista originario di Lugo di Romagna e ora, dopo una lunga esperienza berlinese, residente a Bologna. Un viaggio musicale costituito da sette brani che si sostanziano di suoni naturali (pineta, sottobosco, jungla) ed esotici (field recordings provenienti dall’India e dalla Mongolia), in una ricerca organica di un equilibrio uomo-natura, impulso ulteriore verso la spiritualità, la purificazione, la rinascita, la trascendenza. Il Veleno, in questo caso, è siero salvifico, farmaco essenziale. Da non perdere la prima traccia, What we’ve lost, o Nothing to me.
Riprende il secondo verso del Sonetto 18 di William Shakespeare, uno dei più noti e belli, il titolo (More lovely and more temperate) del disco d’esordio (prodotto da SRI Productions e Audioglobe & Digitalea) di Johann Sebastian Punk (il venticinquenne Massimiliano Raffa, anche lui attualmente residente a Bologna). La scelta è legata alle struggenti tematiche di quel componimento del Bardo di Avon (del quale il musicista è concittadino): l’amore e la bellezza, la loro invincibile potenza, sono insidiati dal tempo, ma l’arte può conferire loro immortalità. L’estroso Raffa dimostra nei suoi undici “pezzi” grande personalità (basta gustarsi il video di Jesus crust baked, una delle tracce più notevoli del disco, per capire di che pasta sia fatto). Del resto, non è un caso se Enrico Ruggeri lo ha scoperto e voluto sul palco del Mei di Faenza per festeggiare i propri trent’anni di carriera e se Beatrice Antolini, appena ha ascoltato il suo progetto, ha deciso di unirsi a Daniele Calandra di SRI Productions per la sua prima assoluta produzione esecutiva.
Saltimbanco, burattino, provocatorio eroe decadente e dionisiaco (non a caso è presente un Intermezzo nel quale è citato Friedrich Nietzsche), eccessivo, Johann Sebastian Punk inventa sonorità discordi, apparentemente sgradevoli, quasi sgangherate, che, però – te ne accorgi quando ormai ci sei dentro – ti trasportano in un abisso dark infernale e paradisiaco al tempo stesso. Un racconto arrogante e incoerente di amore, morte, follie, suicidi, disperata ricerca della felicità, rifiuto. E con una smorfia amaramente autoironica. Tutto – ripetiamo – decadente. Fatevi affascinare avvinghiare trascinare dagli ultimi brani del disco (White; Rainy spell; Strontium), carovane plumbee di allucinazioni circolari.
Altro riferimento colto, a Martin Heidegger, è quello che fa K-Conjog (il napoletano Fabrizio Somma) col suo Dasein (prodotto in Usa e Giappone da Abandon Buildings Records, in Italia da Audioglobe), ovvero il concetto di esistenza del filosofo tedesco. Spiega il musicista: «Dasein come Esserci, ovvero l’unico modo che conosco di stare al mondo. Esserci per lasciare una traccia nella speranza che qualcuno l’accolga allo stesso modo in cui io ho provato piacere nel tracciarla». È il suo secondo disco, dopo Set Your Spirit Freak!, del quale riprende suoni elettronici e sample classici, ambient e minimalismo, ma con toni più ariosi, eterei e sofisticati. Dodici soffici brani di musica ipnotica, avvolgente, raffinata, lenta, rilassata (un riferimento potrebbe essere Wim Mertens), che a volte assume connotati cosmici e sembra elevi l’ascoltatore nello spazio o in un universo parallelo. Per gustare suoni e immagini, guardatevi il videoclip del brano Qwerty, nel quale dall’inizio alla fine il musicista si riflette in un occhio femminile o di How to Cure Hangover in April, entrambi diretti dal regista Francesco Lettieri.
Concludiamo in bellezza con il secondo disco dei Portfolio. Appunto, Due, che, però, in lingua inglese, significa “necessario”, “dovuto”. Ma il titolo potrebbe anche far riferimento alle due parti nelle quali si articola l’opera. Infatti, si legge nelle note del cd: «I brani della prima metà del disco hanno come obiettivo il “tempo”, con sezione ritmica in primo piano. La seconda parte del disco presenta invece brani più articolati, con diverse sezioni e cambi di clima». Sette splendidi gioielli autoprodotti, a dimostrazione che spesso la qualità trova difficoltà nel mercato discografico. Ci “esponiamo” e affermiamo che lo riteniamo uno dei più bei prodotti musicali di questa prima parte del 2014. Vario, elegante, curato, ritmato, struggente, spesso luminoso, con le splendide voci femminili di Laura Loriga e Claudia Domenichini, ospiti dell’album, e la reinterpretazione di Criminal World (1977), cover d’esordio degli inglesi Metro, a nostro parere, però, meno convincente delle creazioni originali targate Portfolio.
Per il lettore che ha fiducia nel nostro (buon?) gusto: non ti perdere alcuno dei sette “pezzi” e, in particolare, l’ultima, magnifica suite (quasi 17 minuti) Three songs about Lenin, insonorizzazione dell’omonimo film muto (Tre canti su Lenin, 1934) di Dziga Vertov. Complimenti, dunque, ai Portfolio di Castelnovo ne’ Monti, il piccolo paese dell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Reggio Emilia (non a caso città dalla quale hanno spiccato il volo molti artisti, tra i quali i CCCP e gli Ustmamò). Ecco i componenti della band: Tiziano Bianchi (trumpet, flugelhorn, keyboards, piano, wurlitzer, bass, voice); Emilio Marconi (guitar); Bojan Fazlagic (guitar, keyboards); Marco Rossi (bass, guitar); Stefano Bizzarri (drums, voice). Alla prossima.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 104, agosto 2014)