Un gruppo di insegnanti esprime il proprio punto di vista sul recente “Protocollo” ratificato nel capoluogo emiliano
In occasione della conferenza stampa indetta dall’Ufficio scolastico regionale per la presentazione del Protocollo di accoglienza e inclusione sottoscritto da 22 istituzioni scolastiche della città di Bologna e dal Comune di Bologna, alcune insegnanti referenti per l’accoglienza degli stranieri nei propri Istituti comprensivi di Bologna hanno emesso il seguente comunicato, cui diamo spazio.
Nella città di Bologna da tempo le scuole, gli insegnanti e tutti gli operatori coinvolti nel processo di accoglienza degli alunni stranieri neoarrivati sentono la necessità di un unico centro di riferimento per l’osservazione, il monitoraggio e la consulenza nel delicato lavoro di inserimento degli alunni stranieri nelle scuole. E da tempo questi stessi soggetti si chiedono perché un’istituzione così pionieristica come il Cd-Lei (Centro di documentazione per l’educazione interculturale, istituito nel 1991, VERIFICARE grazie ad un accordo fra Comune, Provincia, Provveditorato e Università) non sia stato opportunamente potenziato e foraggiato.
Un bisogno effettivamente la nostra città lo sente, e non solo dopo il discusso caso delle scuole medie Besta dello scorso autunno, che tante polemiche ha sollevato dentro e fuori la nostra città. Il Protocollo per la città di Bologna che oggi viene presentato dall’Ufficio scolastico non risponde in maniera efficace a questo bisogno. Perché, ci si chiede da più parti, da parte di coloro che lavorano in questa città da anni nell’accoglienza e nell’alfabetizzazione degli alunni stranieri, perché istituire un nuovo centro metropolitano e un nuovo centro comunale quando esiste già il Cd-Lei, creato proprio da quelle stesse istituzioni che oggi sono presenti? Il Cd-Lei è un centro nato per occuparsi delle tematiche interculturali ed è collocato territorialmente nel cuore di Bologna, facilmente raggiungibile, dotato di un’ottima biblioteca, di aule, di un centro di raccolta di materiali anche “grigi”, che sono stati creati dagli insegnanti negli ultimi venti anni e raccolti e catalogati da bibliotecari esperti.
Perché, ci chiediamo, l’Amministrazione non sceglie di potenziare un centro già esistente? Perché non ottimizza le risorse, in un momento di forte crisi, invece di aprire ben due nuovi centri? Il Protocollo per la città di Bologna prevede infatti la moltiplicazione, a nostro parere del tutto inutile, dei centri a cui una famiglia straniera si dovrebbe rivolgere per l’iscrizione dei propri figli: un «punto unico di supporto appositamente istituito dal Comune» e «il Cia metropolitano», istituito invece dall’amministrazione scolastica. Non solo si tratta chiaramente di uno spreco di risorse, ma anche di un’inutile complicazione per tutte quelle famiglie che invece hanno bisogno di iscrivere i propri figli al più presto nella scuola dell’obbligo. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di facilitare il percorso della famiglia all’atto dell’iscrizione? Perché allora costringerle a recarsi in così tanti posti? E come, con quali mezzi?
Ricordiamo che nella maggior parte dei casi una famiglia straniera appena arrivata a Bologna sa dove iscrivere il proprio figlio grazie alla rete di immigrati cui appartiene o perché già consigliata. Normalmente quindi si rivolge abbastanza velocemente alla scuola del proprio territorio. Come già avviene praticamente in tutte le scuole della città, grazie ai Protocolli di accoglienza dei quali tutte le scuole sono ormai dotate da anni, alla famiglia viene immediatamente dato un appuntamento per effettuare l’iscrizione e contestualmente per un colloquio anche con il futuro alunno e la famiglia stessa, allo scopo di acquisire tutte le informazioni necessarie, raccogliere la documentazione, rilevare le competenze e la storia scolastica del bambino. Inoltre, a questo colloquio viene chiamato un mediatore linguistico-culturale, messo a disposizione dallo stesso Comune, per permettere la comunicazione fra operatori e famiglia. Insomma, tutto questo avviene nelle scuole di Bologna, da anni, grazie al lavoro degli insegnanti referenti all’accoglienza per gli alunni stranieri e al lavoro di tanti colleghi che hanno maturato grande esperienza negli ultimi 20 anni. Negli ultimi anni però i fondi sono diminuiti drasticamente.
Certo, allora, devono essere considerevolmente aumentati i fondi per i corsi di italiano come lingua seconda, che devono essere svolti da esperti, come già può avvenire, grazie alle Rti delle cooperative che lavorano in regime di convenzione col Comune dopo regolare bando. Ma gli alunni stranieri devono essere inseriti immediatamente nella classe in modo da svolgere quella socializzazione che è cruciale e necessaria per l’apprendimento della lingua italiana e anche per un efficace percorso di inclusione che permetta lo sviluppo psico-sociale del bambino o del ragazzo in un momento molto delicato della sua vita.
Da diverse parti, inoltre, ci si chiede se attraverso l’istituzione di scuole polo così “pesanti”, non si vada a svuotare di significato e di potere di azione l’autonomia delle singole scuole. Le nuove scuole polo utilizzerebbero di fatto, secondo il nuovo Protocollo, buona parte delle risorse che attualmente usano le singole scuole, e per le quali progettano percorsi di alfabetizzazione secondo i bisogni dei propri alunni Nai e ne rendicontano all’Usr e al Miur usi ed esiti: docenti alfabetizzatori, insegnanti di italiano, facilitatori linguistici, educatori del Comune, mediatori e ulteriori risorse reperite sul territorio. A quali nuovi bisogni risponderebbe questo protocollo? Da dove salta fuori tutto ciò? Queste ipotetiche ulteriori risorse, perché non vengono distribuite alle scuole che saprebbero benissimo come ottimizzarle ai fini dell’accoglienza e dell’inclusione, invece di assegnarle a sole quattro scuole su tutto il territorio? Ma quale operazione si vuole fare? Istituire forse, in realtà, scuole “ponte”? A quale logica e/o matrice culturale fa riferimento tale operare?
Infine, in febbraio sono uscite le ultime Linee guida del Ministero dell’istruzione università e ricerca, stilate da esperti a livello nazionale. Ebbene, il Protocollo cittadino sembra del tutto ignorarle nei contenuti essenziali; vengono solo citate a livello formale. In esse si dice chiaramente che, oltre all’accoglienza degli alunni neo arrivati, oggetto del nuovo Protocollo, negli ultimi anni sono emerse due nuove specificità. La prima, che «nella scuola dell’infanzia e nella primaria la quota dei nati in Italia da genitori stranieri sul totale degli iscritti stranieri e ormai largamente maggioritaria», e la seconda, che è chiaramente «necessario migliorare i processi di orientamento degli alunni in uscita dalla scuola media, al duplice scopo sia di scongiurare il rischio di non proseguire nel secondo ciclo delle superiori, sia di evitare scelte sbagliate, determinate più dalla condizione socio economica che dalle reali capacità e vocazioni degli studenti».
Alcuni protocolli già operanti nelle scuole tengono conto anche di questo aspetto e curano in modo particolare la promozione alla frequenza liceale degli alunni stranieri, cosa che questo protocollo ignora totalmente. E come si fa a fare orientamento se non si coinvolgono nelle medesime azioni le scuole secondarie di secondo grado? Di questi due aspetti, cioè del bisogno di potenziare l’italiano e le capacità di studio sin dai primissimi anni delle seconde generazioni, sia di orientare glia alunni neoarrivati nel delicato passaggio dalle medie inferiori a quelle superiori, non c’è traccia nel nuovo Protocollo cittadino. Eppure sappiamo che le nostre scuole comunali hanno una lunga tradizione di accoglienza ed educazione su tutti i fronti. Perché non migliorare anche gli aspetti per le seconde generazioni?
Si chiede dunque all’amministrazione scolastica centrale e al Comune di rispondere a queste obiezioni in un incontro con TUTTI gli insegnanti referenti delle scuole della città e gli operatori e gli esperti che da anni si impegnano in questo campo al fine di migliorare la qualità di vita dei cittadini e della città e la convivenza civile. Ne va del futuro di noi tutti.
Valentina Asioli (IC 19), Giovanna Chiricosta (IC 16), Mariolina Conti (IC14), Francesca Gattullo e Paola Centineo (IC 20)
(LucidaMente, anno IX, n. 101, maggio 2014)
A me però risulta che il Cia Metropolitano, qui citato, è finalizzato all’istruzione degli adulti (senza alcuna distinzione per quanto riguarda la provenienza).
L’istruzione degli adulti è un’altra cosa dall’accoglienza e integrazione degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo.
Sul resto non saprei dire, non ho elementi.