Una rivalutazione delle ragioni dell’impegno civile e un’analisi critica dell’amministrazione di Bologna degli ultimi vent’anni: lunga intervista al socialista Paolo Zanca… senza peli sulla lingua
La situazione politica e sociale in Italia e nel resto del mondo è quanto mai complicata, complessa. Non mancano fermenti propri di un passaggio epocale non ancora del tutto avvenuto e che si spera non si compia in maniera ancor più drammatica di quanto già sia. La politica sembra aver perso le proprie alte idealità, l’economia è sempre più soggiogata dai pochi signori dell’alta finanza senza scrupoli.
Paolo Zanca è di certo un politico di lungo corso: segretario coriaceo e battagliero dei socialisti dell’Emilia-Romagna sino al 2010, nonché consigliere comunale a Bologna, consigliere regionale e vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna. Una chiacchierata con lui, a poche ore dalla conclusione del Congresso del Psi – che si è svolto a Venezia dal 29 novembre al 1° dicembre scorso e che ha visto la rielezione come segretario di Riccardo Nencini – ci può aiutare a capire un po’ di passato e un po’ di presente “mentre tutto scorre” con velocità strabiliante. Primarie Pd in primo luogo, ma anche l’attualità politica italiana con Berlusconi fuori dal Parlamento, quella della città di Bologna, che non è disgiunta dalle scelte o le non scelte del passato, per finire poi a dare uno sguardo sul mondo tutto. Con una grande sorpresa… il suo ritorno in politica? Sentiamolo.
Paolo Zanca, una vita all’insegna dell’impegno civile per contribuire a migliorare le condizioni della nostra società. Lotte studentesche, attività sindacale, politica. Che cosa ti hanno insegnato queste esperienze?«Tutto. È assolutamente evidente soprattutto una cosa: non c’è nessuna differenza tra politica e vita: è uguale. La politica è semplicemente lo strumento per far sì che più persone vivano insieme senza menarsi. Cioè senza che interessi singoli prevalgano gli uni sugli altri. Chi ha bisogno della politica sono soprattutto i più deboli. Chi è forte non ha bisogno della politica. Ha la forza, che viene dai soldi, dalle armi. Chi non ha questo ha bisogno della politica che garantisca regole comuni, possibilità comuni. Chi ha soldi e potere non ha bisogno della politica».
C’è qualche ricordo particolare legato alle tue esperienze?«Nel sindacato, il rapporto con la gente vera. Soprattutto un concetto: un sindacato serve per migliorare le condizioni esistenti delle persone. Il sindacato serve se migliora le condizioni esistenti, se fa dei contratti. Tante cose ricordo dell’attività sindacale, ma una su tutte! C’era la solita Fiom che non voleva firmare il contratto. Intervenne Vittorio Foa, storico dirigente del sindacato, e disse: “Ricordatevi, è meglio un contratto che si può migliorare. Un cattivo contratto si può sempre migliorare”. Oggi alcuni sindacalisti si fregiano del fatto che non hanno mai firmato un accordo. I contratti servono per le persone più deboli. I forti non hanno bisogno degli accordi».
Sei stato consigliere comunale quando Bologna era una delle città modello d’Italia. Una vetrina della buona amministrazione. Che cosa è cambiato da allora a oggi?«Sono stato consigliere comunale quando andavano fatte le scelte per pensare alla Bologna dei venti, trent’anni dopo. Ma in quel periodo non si sono fatte scelte. E, quando si sono fatte, sono state sbagliate! A cavallo tra il 1993 e il 2000 alcune decisioni dovevano porre le basi per lo sviluppo della città. Ma quelle scelte hanno creato più danni che soluzione di problemi».
Per esempio?«Potevamo non fare la stazione dell’alta velocità, perché non ha un senso logico. Potevamo risparmiare 3,5 miliardi di euro. Non si è voluto fare! Oggi entra l’acqua dell’Aposa e di altri canali sotterranei, che vanno a sbattere nel Navile. Il che ha creato problemi enormi alla Bolognina. Fenomeni ampiamente previsti e prevedibili. La differenza in termini di tempo tra viaggiare in superficie e sottoterra tra Bologna e Milano è di 5 minuti. Questo me lo dissero molto tranquillamente gli uomini e i progettisti di Fiat Engineering (general contractor della Bo-Fi, ndr): “A noi interessano solo i 500 metri di collegamento tra l’uscita della galleria di Pianoro con la stazione di San Ruffillo. Dopo di ciò, che si passi in galleria o che si passi in superficie, la differenza è di 5 minuti”. Era davvero necessario spendere tutti quei soldi per 5 minuti?».
Un altro esempio?«Purtroppo allora, da un lato non sono state fatte scelte come spostare il Policlinico Sant’Orsola e utilizzare quell’area per l’espansione della città. Dall’altro lato sono state fatte scelte sbagliate! In quegli anni non si volle fare la metropolitana leggera, frutto delle giunte Pci-Psi. Quando si buttarono fuori i socialisti, si arrivò a prevedere di mettere le catene ai portici per far passare il tram nelle arcate! E si è finito col Civis. L’unica cosa che si doveva fare era il passante nord. La spina dorsale della città metropolitana di Bologna è il passante nord. I problemi che abbiamo adesso hanno radici lontane. La lungimiranza delle amministrazioni di quegli anni è stata equivalente a zero. Si potevano fare tante cose come spostare l’università dal centro, si poteva spostare la Fiera all’Interporto e la responsabilità è di quel ceppo politico, che al di là del nome, proviene dal Pci».
Ma la vittoria elettorale di Guazzaloca nel 1999, che rompe una tradizione pluridecennale di giunte rosse?«La vittoria di Giorgio Guazzaloca è stata un’occasione mancata. Bologna è come quando hai bisogno di dare aria alle lenzuola di un letto. Avevano l’opportunità di fare questo, ma non è stato fatto. È cambiata solo la proporzione di potere di alcuni gruppi. Risultato: chi ricorda una scelta di quella giunta?».
Per non parlare del commissariamento del sindaco Delbono…«Il commissariamento è la conseguenza di un’altra occasione persa, frutto di lotte tra correnti. Sulla vicenda si è scatenato il peggio di Bologna: si è preso Flavio Delbono e si è operato il linciaggio. E non solo mediatico. Ma questa è la caratteristica del popolo italiano, il quale deve avere sempre una vittima su cui scaricare tutte le proprie colpe. Flavio? Un’occasione dolorosamente persa. Un altro periodo nero della città è la giunta Cofferati. Ha fatto perdere un mucchio di occasioni a Bologna».
E, oggi, la giunta Merola?«Virginio Merola? Lo conobbi ai tempi del Liceo Minghetti nei primi anni Settanta, stava tra il Manifesto e la Figc. Insignificante allora come adesso. Anzi, aspetto ancora delle scuse da lui, quando io mi schierai contro un’operazione delle cave Maccaferri vicino all’aeroporto e mi accusò di essere lobbista. L’unico lobbista era lui!».
C’è un fiore all’occhiello della tua attività politica da consigliere regionale: essere il “papà” dello Statuto della Regione Emilia-Romagna. La stesura della legge fondamentale dei cittadini emiliano-romagnoli fu complessa, ma diede delle speranze di riforma.«Lo Statuto della Regione mi pare di capire sia carta straccia. Lavoro inutile. Il tentativo era quello di equilibrare i poteri: quello legislativo, quello esecutivo e quello di controllo. Fu un tentativo più o meno riuscito, ma non fregava nulla a nessuno. Lo statuto è stato pensato e costruito sull’onda del decentramento, del federalismo. Ma l’unico decentramento esistente oggi è quello da Bruxelles a Roma. Che cosa fa adesso l’Assemblea legislativa regionale? La legge sui funghi? I consiglieri conoscono i direttori generali delle Asl dell’Emilia-Romagna che governano circa 8 miliardi di spesa pubblica? Forse vale la pena di conoscere i nomi dei direttori generali. Il problema è il rimborso di 50 cent dei bagni pubblici…? Va bene, chi ha fatto la pipì fuori dal vaso pagherà per la pipì fuori dal vaso… Il federalismo è finito! C’erano delle aree che pensavano davvero al decentramento. Altre aree hanno preso al volo l’opportunità per farsi i “cavoli” propri».
Si ricorda anche una certa dialettica intensa col mondo clericale. Ce la racconti?
«La pillola RU486? Mi basta sapere che ci sia una sola donna che abbia sofferto meno in un momento critico della sua vita per essere contento di quella battaglia. E sulle coppie di fatto era necessario fare in modo che due persone che si vogliono bene e conducono una vita insieme abbiano riconosciuti determinati diritti (vedi «Diritti sociali per tutti, senza discriminazioni»). Oggi il gesuita Bergoglio dice che si deve dialogare con i separati, con chi convive senza essere sposato. All’epoca la Chiesa diceva che si stava sfaldando la società. Oggi Francesco I dice che bisogna dialogare. All’epoca, per me, erano cose normali: evitare che delle donne soffrissero e far sì che delle persone unite da un rapporto basato sull’amore reciproco avessero delle tutele giuridiche. Misi con le spalle al muro Errani e lo obbligai a mettere le coppie di fatto nella legge finanziaria».
La politica italiana sembra, ormai, aver subito un cambiamento morfologico rispetto agli ultimi vent’anni. Silvio Berlusconi è fuori dal Parlamento per la decadenza dalla carica di senatore e non è più indispensabile per il Governo Letta. È la fine di un’epoca?«Forse è la fine di un’epoca se qualcuno ha coraggio. Se qualcuno non ha coraggio, no. Questa roba ha delle ripercussioni anche nel Pd. Matteo Renzi vuole andare a Palazzo Chigi e gli serve il Pd come trampolino di lancio. Il governo di larghe intese potrebbe servire per le riforme oppure serve a qualcuno per preservare il proprio potere. Quando si fanno le larghe intese in Europa si fanno per realizzare quelle riforme che non potrebbero essere fatte da nessun partito da solo. Oggi in Italia c’è l’interesse di farsi rieleggere, quindi non fare alcuna scelta è proprio ciò che accade. Siamo drammaticamente immobili. Dovremmo andare in Europa e dire tante cose. Ora spero che si possa finalmente cominciare a discutere in maniera seria di riforma della giustizia.
Qual è il nodo giustizia?Un Paese dove si rischia la galera preventiva non incoraggia gli imprenditori esteri. Il caso Scaglia è esemplare di questa situazione. La custodia cautelare è stata giudicata dalla Corte di Giustizia europea come tortura. È un Paese civile questo? Fino ad oggi di questo problema non si è potuto parlare, perché qualsiasi critica al sistema giustizia è stata vista come un vantaggio per Berlusconi. Noi abbiamo bisogno di creare ricchezza, invece chi si impegna in questo senso viene massacrato. Come fa un investitore a investire? Come fa un imprenditore a intraprendere? Si perseguono delle logiche tra l’assistenzialismo e nient’altro. Le aziende sono sottoposte a dei meccanismi infernali. Si parla di Berlusconi e di Renzi, ma ai problemi degli italiani chi ci pensa? Come al solito ci devono pensare gli italiani, cioè noi. In questo Paese è un eroe chi ha voglia di costruire, perché ti saltano addosso. Il Comune di Bologna ha fatto un appalto per la gestione del piano soste, nel quale chi vince l’appalto deve prendersi 120-130 ausiliari della sosta. Nel capitolato del bando c’è scritto che se chi vince ha una causa anche con uno solo di questi il Comune sospende i pagamenti. Dove sta il miglioramento dei servizi? Il Paese è bloccato!».
La tua opinione sulla crisi economica mondiale.«Obama è stata una delusione terrificante. Ha sbagliato tutto, nel mondo arabo, nel Nord Africa e in tutto il resto. Il governo cinese è preoccupato della situazione di bilancio degli Usa, perché ha in mano la maggior parte del debito americano. Su tutto domina la finanza. Oggi la ricchezza è sulla carta. La ricchezza della carta è del 12% superiore a quella reale. Nel Consiglio d’Europa si dovevano affrontare problemi come questo, invece hanno tirato fuori i fatti di spionaggio».
La politica per Paolo Zanca è una passione che non muore mai. Ci prepariamo a rivederti di nuovo in campo?«Non ci penso nemmeno. Anzi, sto meditando di andarmene in Nuova Zelanda. Per due motivi, fondamentalmente. Lì ci sono gli All Blacks, che io amo, e poi non ci sono i comunisti!».
In questi ultimi tre anni e mezzo fuori dalla vita pubblica, hai pensato a un errore che hai commesso in politica e che oggi non rifaresti?«L’errore che non rifarei? Del senno del poi sono pieni i fossi. Più o meno rifarei tutto! Ho speso un certo numero di anni della mia vita, pensando che fosse possibile in questo paese tenere su un’idea di politica di valori di etica che tenesse insieme delle tradizioni sociali e libertarie, perché questa è la radice dell’idea socialista. Ha prevalso da una parte la cultura cattolica e dall’altra la cultura comunista, che hanno schiacciato l’idea socialista. Avrei fatto un po’ di più per mantenere la Rosa nel Pugno. Ci ho provato in tutti i modi e prima ancora avrei cercato di tenere in piedi l’Ulivo, che era un modo per coniugare culture diverse, ma non c’erano le condizioni oggettive. Il problema degli italiani è che non riescono mai a costruire un discorso comune. Scelgono sempre un uomo in cui riconoscersi. Il sistema del dopoguerra aveva sostituito gli uomini con i partiti. Oggi siamo tornati agli uomini».
Nicola Marzo
(LucidaMente, anno VIII, n. 96, dicembre 2013)