Magiche cadenze sinfoniche nel romanzo “Ritorno al tempo che non fu” di Alessandro Pierfederici (Edizioni del Leone)
Il lettore, come in una magica evocazione, è chiamato a essere pietoso spettatore della vicenda umana del protagonista e, al contempo, curioso osservatore dei dettagli di una trama che porterà lentamente alla scoperta di una diversa realtà. Infatti, il romanzo Ritorno al tempo che non fu di Alessandro Pierfederici (Edizioni del Leone, pp. 192, € 15,00) invita (costringe?) a una complessa esperienza fatta di dolcezza e durezza a un tempo.
In una magia, in una sinfonia che integra natura e cultura, la vicenda prende il via da un mancato suicidio e da un incontro inatteso. Il protagonista si trasforma in un viandante, in un pellegrino: la sua esperienza è quella del romantico Wanderung, in cui il viaggio è sempre sul punto di trasformarsi in un’anarchica erranza, con il rischio di perdersi in una natura che, a sua volta, oscilla fra l’armonioso ordine del creato e la perfida oscurità della tenebra. Fin dalla sfida contenuta implicitamente nel titolo (può un tempo che non fu essere narrato? può un tempo che non fu essere recuperato alla memoria?), il racconto si snoda con un’evoluzione continua e quasi labirintica che sembra riportare a esperienze ed espressioni del miglior romanticismo.
Il lavoro di Pierfederici offre immediatamente uno spunto di riflessione assai evidente, proiettando, nello svolgimento della trama, l’esperienza romantica prima ricordata in una postmodernità che sembra non aver più paradigmi e categorie interpretative da usare: il tempo che non fu è letteralmente il nostro passato che siamo chiamati, di volta in volta, a reinventare, in funzione delle conquiste del nostro presente e della nostra proiezione verso il futuro. In questa narrazione, potremmo, forzando i termini per lasciar intendere la suggestione che vorremmo proporre, il passato non è il già accaduto, ma esso si ripresenta sotto spoglie diverse nelle varie tappe che l’errante protagonista affronta.
I luoghi – villa, castello, borgo, fiume – assumono connotazioni differenti ed evocano eventi che passano dall’essere dolorosi e misteriosi all’essere delicati e piacevoli. In questa vicenda il sogno confina necessariamente con l’incubo e la memoria prepara la prospettiva sul futuro. La doppiezza dell’amore, nella dialettica tra perduto e trovato, alimenta la delusione e la speranza. La bellezza del passato può essere raccontata – come è comunemente accaduto nell’impatto fra i viaggiatori del Grand Tour e le vestigia italiane – come un segno di un ricco passato perduto per sempre e capace, quindi, di assecondare la tentazione per la nostalgia. Dove inizia, a questo punto, la “missione” artistica, a cospetto di uno scenario di vestigia e di resti di un passato che sembra fuggito per sempre? La bellezza, una volta appresa anche nel suo svanire, nel suo mostrarsi come residuale, costringe l’artista, il narratore, il pellegrino, a un inseguimento che può avere come costo la vita stessa o l’infrangersi dei propri sogni. Il gioco potrebbe continuare ancora, come nei migliori romanzi del doppio, come nelle favole maligne di Hoffmann, come in un quadro terrificante di Füssli, come nelle pagine di Goethe.
La vicenda potrebbe essere riassunta come il percorso che porta il protagonista da un tentato suicidio alla conquista dell’amore. Questo percorso, questo pellegrinaggio, è anche il ritorno a se stessi e alla propria storia. Questo nostro povero riassunto appare però ingiusto e quasi grossolano, perché non può rendere conto della fatica del pellegrino che accetta di attraversare un mondo fatato allo scopo di riportarlo alla realtà. Pierfederici è un musicista e questo romanzo è la sua prima incursione nella scrittura narrativa. La sua ricerca ci offre un romanzo costruito con ritmo sognante come una sinfonia che armonizza suoni diversi.
Alessandro Pierfederici, nato a Treviso, di professione musicista, svolge attività internazionale di docente, pianista accompagnatore di cantanti lirici e direttore d’orchestra. Dal 2008 è fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Musicaemozioni” di Treviso che si occupa della formazione e promozione di giovani studenti e artisti della lirica. Se la passione per la musica è diventata un lavoro, quella per la scrittura è rimasta a livello di confessione personale, momento di fuga dalla realtà quotidiana fino a quando è emersa anch’essa come una seconda, importante attività, complementare alla prima.
Antonio Fresa
(LucidaMente, anno VIII, n. 94, ottobre 2013)