Nel best-seller “Lo sport del doping” (edizioni Gruppo Abele) Alessandro Donati denuncia l’assunzione sistematica di sostanze illecite da parte di moltissimi atleti
Dopo la (brevissima) pausa estiva sono ripresi i principali tornei calcistici internazionali e anche nel Belpaese sono ripartiti i vari campionati, riproponendo i soliti problemi che da tempo immemorabile affliggono lo sport nostrano, tra i quali non va sottovalutato il persistente fenomeno del doping.
In tutti gli sport è ormai ampiamente diffusa l’abitudine di migliorare artificialmente le prestazioni agonistiche, facendo ricorso a sostanze proibite (amfetamine, eritropoietina, farmaci beta 2 agonisti e metabolici, ormoni della crescita, steroidi anabolizzanti) o a pratiche mediche scorrette (dosaggi mirati di farmaci, emotrasfusioni, manipolazione genetica delle cellule muscolari e delle molecole dei prodotti dopanti), camuffando l’uso del doping attraverso trucchi ben sperimentati (assunzione di farmaci diuretici o contraffazioni dei campioni di urine).
Nel maggio scorso Alessandro Donati, maestro dello sport del Comitato olimpico nazionale italiano e consulente dell’Agenzia mondiale antidoping, ha pubblicato la seconda edizione del pregevole volume Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte (edizioni Gruppo Abele, pp. 312, € 16,00), i cui proventi saranno devoluti allo stesso Gruppo Abele. Donati racconta in prima persona le persecuzioni patite, a causa dell’impegno profuso contro l’uso di sostanze illecite, quando ricoprì gli incarichi di allenatore nelle squadre nazionali di atletica leggera e di componente della Commissione scientifica antidoping del Coni. Il libro distrugge il mito di tanti campioni senza valore – per citare il titolo di un altro suo testo del 1989, edito da Ponte alle Grazie e stranamente scomparso dalle librerie in breve tempo – affermatisi grazie a metodi per nulla regolari (tra cui gli atleti Alessandro Andrei, Alberto Cova, Maurizio Damilano, Gabriella Dorio, Alex Schwazer; i ciclisti Lance Armstrong, Gianni Bugno, Mario Cipollini, Maurizio Fondriest, Francesco Moser, Marco Pantani, Stephen Roche, Rolf Sørensen; gli sciatori Marco Albarello, Maurilio De Zolt, Manuela Di Cento, Silvio Fauner, Giorgio Vanzetta).
Il “dopaggio scientifico” degli atleti italiani è stato a lungo predisposto – con la benevola “indulgenza” del Comitato olimpico internazionale e del Coni – dal dottor Francesco Conconi, ex rettore dell’Università di Ferrara, che ha fatto addirittura parte delle commissioni antidoping del Cio e del Coni. Conconi nel 2004 è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale di Ferrara di comportamenti illeciti legati all’uso del doping, anche se i reati a lui ascritti si sono estinti per l’intervenuta prescrizione (cfr. Ufficio della Procura antidoping del Coni, in www.bdc-forum.it). Nonostante in Italia sia in vigore dal 2001 una legge antidoping, non sembra che il fenomeno si sia attenuato, anzi c’è stata un’escalation nello sport amatoriale e in tante palestre dove si pratica il body building. Nella società odierna manca una sana cultura sportiva che valorizzi gli aspetti ludici ed educativi dell’attività motoria, mentre dominano l’agonismo esasperato e la ricerca spasmodica del successo, anche tra i dilettanti (cfr. Dagli integratori al doping nello sport amatoriale, in www.edusport.it).
Il doping, tuttavia, non rappresenta unicamente un problema di etica sportiva. Chi ne fa uso, infatti, non solo prevale slealmente su chi è “pulito”, ma può compromettere seriamente anche la propria integrità fisica, rischiando di sviluppare gravi patologie come: aggressività, anemia, arteriosclerosi, collasso cardio-circolatorio, disturbi cardiaci, epatopatia, ginecomastia, immunodepressione, infezioni sistemiche, ipertensione, leucemia, neoplasie, sterilità, trombosi (cfr. Domenico Amuso, I rischi del doping, in www.approdonews.it). Lo stesso Donati ci informa che vari sportivi hanno pagato duramente l’uso di sostanze illecite: «dalla giavellottista […] che, in seguito alla reiterata assunzione degli ormoni anabolizzanti ha sviluppato un tumore, fino al sollevatore di pesi che, anabolizzato, si è trovato a sollevare sovraccarichi enormi fino a massacrarsi la colonna vertebrale; […] dal mezzofondista vicentino morto dopo un’emotrasfusione fino al fondista nel quale è stata provocata o quantomeno fatta peggiorare l’epilessia».
Questa piaga ha assunto, ormai da tempo, una dimensione sovranazionale, blandamente contrastata dai governi che sfruttano a fini politici i “trionfi sportivi”. Negli ultimi trent’anni essa è stata funzionale, secondo Donati, all’affermazione di «un sistema di business via via più complesso, con diritti televisivi, sponsorizzazioni, sovvenzioni statali, relazioni diplomatiche e istituzione di fantomatiche fondazioni di comodo con sede nei paradisi fiscali». Non è facile, perciò, estirpare una “mala erba” che tutela gli interessi delle multinazionali farmaceutiche e il cui commercio vede anche coinvolta la criminalità organizzata. Tra l’altro, i controlli laboratoriali sono «perennemente in ritardo rispetto allo sviluppo della farmacopea», che trova sempre nuovi prodotti in grado di aggirare gli accertamenti. Per sconfiggere il doping ci vorrebbero maggiori investimenti nella ricerca e pene più severe per chi ne fa uso. Ci vorrebbe, inoltre, una “rivoluzione culturale” che trasformasse radicalmente la mentalità prevalente all’interno del sistema sportivo globale.
LucidaMente ha trattato il problema del doping nello sport anche nei seguenti articoli: Trent’anni di scandali nel football italiano; Il Giro d’Italia ieri e oggi; Schwazer default; Calcio, Sla… doping? Sul generico abuso dei medicinali, vedi, in questo stesso numero: Il business dei farmaci.
Le immagini: una foto di Alessandro Donati (da http://www.edizionigruppoabele.it/sandro-donati-su-speciale-sport/) e la copertina del suo libro Lo sport del doping.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VIII, n. 93, settembre 2013)