Nel nostro Paese, si sa, secondo un logoro luogo comune, “in carcere non ci finisce nessuno”!
Se, poi, proprio perché uno vuole, si ha la fortuna di essere detenuti, secondo un altro celebre adagio, si sa ancora, “è una pacchia”: oltre alla proverbiale tv in cella, pasti sopraffini, donnine allegre, giornate passate al cellulare e a giocare a carte, elevate conversazioni con compagni di cella quali Gennariello “’o sfreggiazoccole”, Cecio “er mostro de Torvaianica” e Ciccio “l’ammazzafroci”, al minimo segno di malessere – non diciamo neanche di malattia o lesioni fisiche (queste ultime del resto impossibili, data la consueta gentilezza di polizia, carabinieri, agenti di custodia – vedi fiction televisive) – si è prontamente assistiti e, se necessario, trasportati tempestivamente in ospedale, anche per cautela.
Così, alfine, si raggiunge uno stato di tale benessere psicofisico che, come nei paesi più civili (Svezia, Norvegia, Finlandia), dove la tipicamente nordica malinconia impazza, il detenuto, preso da una intellettualistica e decadente noia esistenziale – e in mancanza del conforto cattolico, di cui viene privato dai cattivi “laicisti” –, non trova di meglio che suicidarsi.
Per avere un quadro completo del dramma-carcere, con tabelle e considerazioni varie, si legga Pianeta Carcere: un sistema vicino al collasso totale di Antonio Antonuccio, apparso in due parti nei numeri 33 e 34 (aprile e maggio 2012) di Excursus: http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcerePartePrima.htme http://win.excursus.org/attualità/AntonuccioPianetaCarcereParteSeconda.htm.
(r.t.)