La bocciatura di Prodi e di Rodotà alle elezioni presidenziali è l’ennesimo gesto di autolesionismo perpetrato dal gruppo dirigente democratico, inetto e litigioso
Alla fine il Partito democratico è riuscito a perdere l’ennesimo “appuntamento con la Storia” e ha praticato ancora l’harakiri già sperimentato dai suoi inetti e litigiosi dirigenti in altre circostanze (bicamerale, caduta dei due governi Prodi, disintegrazione dell’Ulivo e dell’Unione, dissennate campagne elettorali, ecc.).
Il Pd avrebbe potuto tranquillamente eleggere, alla quinta votazione presidenziale, un candidato appartenente alla propria area politica, senza doversi accordare col Pdl: infatti, se i voti attribuiti al quarto turno di voto a Romano Prodi fossero confluiti, in quello successivo, su Stefano Rodotà, l’ex dirigente del Pds avrebbe superato abbondantemente il quorum previsto per l’elezione del capo dello Stato. Invece, è prevalsa la logica dell’“inciucio”, cara a tanta parte degli esponenti democratici, che ormai assomigliano a una maldestra caricatura dei vecchi democristiani, notoriamente usi a dividersi al loro interno tra fazioni, ma molto più abili nella gestione del potere. Bersaniani, dalemiani, prodiani, renziani e veltroniani (solo per citare le più note tra le venti correnti del Pd) si sono dati battaglia a colpi di “franchi tiratori”, neanche fossero a un congresso di partito, col risultato di impallinare prima Franco Marini, poi Prodi e, infine, lo stesso Rodotà.
La rielezione di Giorgio Napolitano rappresenta una sconfitta storica per il Pd, che è stato costretto a chiedere soccorso al più vecchio dei suoi leader politici per evitare una probabile scissione e ricostituire – temporaneamente – l’unità interna. Tuttavia, il prezzo da pagare sarà elevato, in termini sia politici che elettorali: infatti, il governo di “larghe intese” – che Napolitano ora riuscirà certamente a far decollare – sarà fortemente condizionato dalla volontà di Silvio Berlusconi. È prevedibile che il Cavaliere ostacolerà il rinnovamento morale auspicato da più parti, provando in tutti i modi a tutelare i propri interessi, anche a costo di far crollare la nuova maggioranza (come ha già fatto col governo Monti). Il “vento rosso”, che ha spirato in Italia nel biennio 2011-2012, si è definitivamente placato ed è subentrata una sorta di bonaccia, che sta rendendo assai disagevole la navigazione degli epigoni della sinistra nostrana.
È grottesco che un ultraottuagenario venga rieletto capo dello Stato, per di più con una prassi anomala che apre scenari da “Repubblica presidenziale”. Siamo di fronte al perdurare di un sistema trasformistico che scredita sempre più il malconcio Belpaese, suscitando le giuste ire di chi auspica una svolta radicale. A trarre vantaggio da questa situazione sarà in parte Berlusconi, ma soprattutto il Movimento 5 stelle, che, nonostante alcuni errori commessi all’inizio della legislatura, si è mosso con intelligenza durante le votazioni presidenziali, mantenendo saldamente la candidatura di Rodotà. È prevedibile, pertanto, che una parte dell’elettorato democratico si orienterà in futuro verso i “grillini”, indebolendo ancora di più il traballante partito dell’ormai ex segretario Pierluigi Bersani. Le imminenti elezioni amministrative saranno un test abbastanza attendibile per capire quale sarà il futuro del centrosinistra italiano. Comunque vadano le cose, il Pd rappresenta un caso, più unico che raro, di “masochismo politico”, da sottoporre all’attenta analisi degli studiosi di psicopatologia sociale!
Le immagini: manifesto elettorale del Pd (fonte: http://www.ilpost.it/); manifestazione del Movimento 5 stelle (fonte: http://urbanpost.it/).
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VIII, n. 88, aprile 2013)
Del tutto d’accordo con l’articolo. Mi fa piacere leggere che altri condividono il fatto che Grillo (che non ho votato) stia maturando.
Sono d’accordo su quanto riporta l’articolo, e mi fa piacere che qualcun altro condivida il fatto che Grillo stia maturando.
Concordisssssssssimo! Fulvio Mazza