Lungo intervento di un nostro lettore su caste, populismo e demagogia… meglio ritornare a essere “noncittadini”?
Gentile direttore, avrei qualche idea da sottoporle. Da qualche anno, specie durante e dopo le ultime elezioni politiche, si respira nel nostro Paese un clima di disprezzo e sfiducia nella classe politica e, sebbene in misura attenuata, nelle istituzioni pubbliche. Benché l’intera società italiana sia suddivisa in caste, la casta politica è l’unica che sia veramente oggetto degli insulti e delle critiche collettive, e ciò per motivi oscuri, o meglio per un motivo casuale: la visibilità.
Dunque, mi pare che l’insieme di queste caste abbia determinato l’insorgenza, nel nostro popolo, di un sentimento di frustrazione, di impotenza, di esclusione di cui la casta politica paga lo scotto. Da qui la necessità di scavalcarla, di azzerarla, di (ri)appropriarsi della libertà politica, non rendendosi conto con lucidità, però, che il cittadino è tale non solo se ha la possibilità di entrare in un emiciclo, ma, anche, se ha la possibilità di svolgere la professione per cui ha studiato o per cui ha una vocazione e se gli è consentito di essere, effettivamente, coinvolto nella vita, nella società, secondo il proprio giudizio e la propria volontà. Giudizio (critica) e volontà.
Mi sembra, tuttavia, che – vengo finalmente al punto – anche il populismo di questi anni, il quale vorrebbe il coinvolgimento diretto e senza filtri del singolo cittadino in ogni processo decisionale, abbia, appunto, escluso il giudizio e la volontà. Dal cittadino siamo passati a un “astioso-spocchioso”, al burocrate della virgola, al meschino dell’ego veto (ogni pulce tiene la tosse, si dice a Napoli) con, tra i molti inconvenienti, il rischio di una burocrazia montante e di un’incapacità di decisioni immediate. Mi chiedo, dunque, se sia ancora possibile avere dei rappresentanti con pieni poteri e piena libertà. E se è giusto che il popolo elegga chiunque e lo sottoponga al più rigido e severo controllo formale. Con tale controllo intendo proprio il controllo della forma, ossia: il politico che vale è quello che produce risultati, che fa ed è efficace, con buona pace delle difficoltà d’azione e dell’idea che la politica sia anche sotterfugio e inganno, intelligente e brillante macchinazione!
Dagli statisti agli amministratori di condomino, dal cittadino al popolo: un giudice sommario, un segreto moralista! Tutto ciò benché la Costituzione ponga limiti alla sovranità popolare, di un popolo che, tristemente, vuol comandare. Ma parlavo, sopra, di giudizio e volontà. Cioè della libertà di demandare ad altri alcune decisioni e di sorvegliare quasi sommariamente, intervenendo nel caso di un malcostume esorbitante considerando che il ruolo di giudice è sempre dato dal caso e che non si deve confondere con una medaglia di purezza. Mentre, a dire il vero, siamo assediati da tante cornacchie incapaci di dubitare del proprio giudizio, mediocri, isteriche, rabbiose poiché ossessionate dal pericolo di non avere il pieno controllo della propria vita e, per questo, esacerbate di combattere e annichilire, col ludibrio, chiunque. Ahimè, lo vedo nei più giovani, cui andrebbe insegnato il valore dell’essere eccentrici, appartati e diversi, forse anche giudicati “demeriti” o bocciati dal voto. Nietzsche diceva di essere postumo!
In questo modo, liberandoci da un astioso (e ipocrita) giudizio e dall’obbligo di votare a ogni piè sospinto, saremo noncittadini, ovvero esseri solo sociali, solo civili, esseri a cui viene demandata ogni responsabilità di giudizio, ogni dovere di scelta, ma saremo uomini e potremo permetterci anche la libertà dell’ingiustizia e dell’immoralità. Il nostro fondo oscuro. Dovremmo tornare ai contadini, a questi impossibili esseri asociali e irrazionali. Quegli uomini narrati dai romanzi di Pasolini e di Carlo Levi, oppure, se si è fortunati, alla propria vita privata. Dovremmo recuperare il punto di vista della civiltà contadina, secondo cui l’uomo è soverchiato dalle forze estranee, eterne e immutabili della Natura, di cui la Storia e lo Stato sono una parte. Bisognerà sempre partecipare? Essere soggetti alla coercizione di mandare avanti il mondo? Bisognerà sempre sottoporre al giudizio di una massa ignota o di un ignoto al di là di uno schermo, la propria incapacità, le oscenità commesse, le vergogne? Si potrà rifiutare di analizzare e di essere analizzati? Ignoranza e irrazionalità: libertà! Cosa ne pensa?
Giovanni Moriello
(LucidaMente, anno VIII, n. 88, aprile 2013)
Gentilissimo dott. Moriello, grazie per l’intervento. Le sue argomentazioni sono vaste e complesse e riguardano più tematiche.
Crisi della democrazia rappresentativa: è un argomento del quale si è preso coscienza e su cui si dibatte ormai da qualche anno. Condivido il suo giudizio secondo il quale la “casta” politica paga più delle altre per essere la più “sovraesposta”. Aggiungerei che anche, paradossalmente, è quella che si rischia meno ad attaccare. Vogliamo mettere i grandi poteri economico-finanziari, il Vaticano, i burocrati di stato, le forze dell’ordine e militari?
Condivido anche che il “popolo” non ha alcun diritto di sentirsi puro e molto superiore rispetto ai corrotti, visto che è stato parte integrante del sistema di potere politico e sociale che ha sempre caratterizzato l’Italia.
Ancora: come non essere d’accordo sull’assurdità di quest’obbligo tutto moderno del sentirsi “impegnati”, di “contare”, di essere “informati”, a scapito della dimensione umana, spirituale ed “eccentrica” (come dice lei)? Per completare il discorso, molto, molto complesso, sulla crisi della civiltà occidentale, potrei suggerire qualche nostra recensione, quale:
Viaggio nel (cattivo) stile della nostra epoca (https://www.lucidamente.com/16307-tripodi-iannone-nichilismo/)
I tanti, troppi pregiudizi dei “progressisti” bigotti (https://www.lucidamente.com/1799-i-tanti-troppi-pregiudizi-dei-progressisti-bigotti/)
Il lento, triste disorientamento del mondo “globale” (https://www.lucidamente.com/59-il-disorientamento-del-mondo-%e2%80%9cglobale%e2%80%9d/)