Il 10 dicembre 1813 nasceva a Palermo uno dei più validi compositori dell’Ottocento, esponente della “Scuola napoletana”, ingiustamente relegato nell’oblio
Nel 2013 gli appassionati di melodramma avranno modo di celebrare il bicentenario della nascita di due mostri sacri della musica lirica: Giuseppe Verdi e Richard Wagner. Noi, con la nostra mai esausta voglia di ricercare, ci permettiamo di aggiungere un terzo nome: Errico Petrella. E, parafrasando Manzoni, che non fu affatto estraneo all’opera di questo sconosciuto compositore, ci chiediamo: «Petrella, chi era costui?». Infrangendo, senza tante pretese, il tabù che da anni sovrasta la conoscenza e lo studio di questo musicista.
Errico Petrella nacque a Palermo il 10 dicembre 1813 e studiò musica con Saverio Del Giudice. Si trasferì a Napoli, dove fu allievo del famoso Nicola Antonio Zingarelli. Ebbe modo di conoscere Vincenzo Bellini, che fu suo «maestrino» al Conservatorio, del quale risentì per la sua vena melodica e appassionata. Nel 1829, a soli sedici anni, debuttò, a Napoli, con la farsa Il diavolo color di rosa, riscuotendo un buon successo. Seguirono Il giorno delle nozze e Lo scroccone, che valsero al giovane compositore la commissione de I pirati spagnoli: l’opera destò l’ammirazione di Gaetano Donizetti, all’epoca insegnante al conservatorio partenopeo. L’anno successivo compose Le miniere di Freinberg, ma soprattutto Cimodocea, ispirata a un racconto di François-René de Chateaubriand. Tuttavia, l’esoso compenso richiesto gli chiuderanno per una decina d’anni le porte del Teatro San Carlo, cui era destinata l’opera.
Nel 1850, dopo aver vissuto di lezioni private per ben undici anni, arrivò il successo con Il Carnevale di Venezia: un vero trionfo per una delle migliori opere comiche del tempo, pervasa di lirismo tenero e trasognato che si fonde gustosamente con gli aspetti buffi del libretto. L’editrice milanese Giovanna Lucca lo lanciò, da allora in avanti, come il rivale di Verdi, ma questo non giovò a Petrella, nonostante per un certo tempo le sue opere reggessero il confronto. L’insofferenza di Verdi stesso per alcuni elementi della cosiddetta «scuola napoletana» (uno su tutti, Nicola De Giosa), la costante presenza di Ricordi e del suo «braccio armato» che fu La gazzetta musicale di Milano e i temi corruschi o eccessivamente sensuali o di forte pregnanza popolare di alcune sue opere non permisero al compositore palermitano di rimanere secondo o parigrado al Cigno di Busseto.
Nel 1851 ebbe enorme successo “Marco Visconti”, melodramma tragico intriso di romanticismo popolare con menestrelli, giostre, serenate e torvi castelli. Da segnalare la bellissima ballata Rondinella pellegrina e l’aria di Ottorino Come un aura sul mattino. Seguirono L’assedio di Leida, ma soprattutto Jone (1858), che trionfò alla Scala, confermando Petrella come uno dei primi compositori d’Italia. La storia è tratta da Gli ultimi giorni di Pompei di Edward Bulwer Lytton: da ricordare, oltre alla ricostruzione immaginifica e sensuale dell’antica Pompei, l’aria intensa di Glauco Oh Jone! Oh di questa anima e la scena finale, l’eruzione del Vesuvio con la famosa marcia funebre. Nel luglio del 1858, la rappresentazione della Jone a Padova si fece senza la marcia funebre, perché la banda militare, che presiedeva all’esecuzione, era partita per le manovre militari, che avrebbero portato, dieci mesi dopo, alla Seconda guerra d’Indipendenza. Ed è proprio nell’imminenza di questo evento, in concomitanza con la rappresentazione di Jone a Genova il 18 maggio 1859, che Napoleone III, giunto in Italia per aiutare il Piemonte contro l’Austria, si presentò alla città.
Nel 1864, a Torino, “La contessa di Amalfi” ebbe un enorme successo (Massimo Mila la definì di «un erotismo inquietante e morboso»). Quindi, altre composizioni vennero a infoltire la carriera di Petrella: Caterina Howard e Giovanna di Napoli, nel 1869. In esse traspare un tentativo di aggiornamento rispetto alle novità musicali italiane e straniere per uscire dai limiti provinciali in cui si era svolta la sua arte. Avanza verso una ricerca interiore particolare l’opera I promessi sposi, sempre del 1869, che Antonio Ghislanzoni ridusse dal celebre romanzo di Alessandro Manzoni. In essa irrompe l’atmosfera di certa poesia tipica della scapigliatura lombarda, piena di echi agresti e crepuscolari. Tra i momenti più interessanti, il valzer lento dei bravi ubriachi, il duetto tra Renzo e Lucia e lo struggente Addio ai monti di Lucia.
La presenza dello stesso Manzoni alla prima dell’opera (che si tenne al Teatro sociale di Lecco, il 2 ottobre 1869), destò non poche invidie e pettegolezzi. Del 1870 è Manfredo, corrusco dramma ambientato in Calabria, dove la musica, che scandisce emozioni interiori e arcane, accompagna la sete di redenzione, attraverso un amore impossibile: il protagonista ama Lina, senza sapere che è sua sorella: alla scoperta dell’identità della donna, si uccide. Tra le più belle pagine, il Coro dei mietitori e l’aria di Manfredo O Lina mia. Un fascino sinistro e malefico avvolge Bianca Orsini, del 1875: le situazioni musicali sono svolte con grande maestria e spettacolare è la scena della Fiera di Bracciano.
Petrella fu, in buona sostanza, uno degli ultimi esponenti della cosiddetta “Scuola napoletana”. La sua sensibilità musicale si concentrò, nell’opera seria, verso personaggi perversi e sensuali. La sua musica ha fremiti di autentica arte: a nostro avviso andrebbe riletta e conosciuta. Scrisse complessivamente 25 opere, tra serie, semiserie e buffe, più due rimaste incompiute. Negli ultimi anni, si ridusse nell’indigenza, avendo amato molto le donne e la vita mondana e brillante. Ammalato di diabete, morì il 7 aprile 1877, in un appartamento di Albaro, in quel tempo sobborgo di Genova. Verdi, che non lo stimava, gli inviò una somma di denaro: peccato che l’offerta arrivasse a funerali conclusi. Interessanti e articolate sono le vicende legali, sentimentali e campanilistiche legate alla traslazione della salma del compositore da Genova a Palermo.
Le immagini: disegno che ritrae Errico Petrella (1850-1860, Parigi, Bibliothèque nationale de France) di Francesco Gonin (Torino, 1808 – Giaveno, 1889); un busto dell’artista (Palermo, Villa Giulia; fonte: www.chieracostui.com/costui/docs/search/); ritratto del musicista, insieme ad Antonio Ghislanzoni, con, sullo sfondo un busto di Manzoni (post 1869, pastello su cartone, 70 x 95, Lecco, Musei civici; fonte: www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/G1050-00360/), attribuito a Ettore Drisaldi (Lecco, ? – Roma, 1963).
Francesco Cento
(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)