Chi conosce Geoffrey Holiday Hall? Non molti, supponiamo. Stando alle poche notizie pervenuteci, egli fu uno scrittore statunitense di storie noir, che nel 1949 pubblicò per la casa editrice Simon & Schuster di New York un romanzo che ebbe un discreto successo editoriale, dal titolo The end is know.
Nel 1952 il libro fu pubblicato in italiano, nella famosa collana I Gialli Mondadori della omonima casa editrice, col titolo La morte alla finestra. Fu allora che finì nelle mani di Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano amante del “giallo”, che rimase colpito dallo spessore narrativo di Holiday Hall, al punto da preconizzare che egli avrebbe avuto una grande carriera letteraria.
Tuttavia, dopo aver dato alle stampe nel 1954 un secondo romanzo, The watcher at the door (la cui traduzione francese, intitolata L’homme de nulle part, ricevette il Grand prix de litérature policière), Holiday Hall scomparve definitivamente dalla scena editoriale e di lui non si seppe più nulla.
Tra il 1990 e il 1992 la Sellerio ha ripubblicato entrambi i suoi romanzi, nella collana La memoria, il primo col titolo La fine è nota (con una postfazione di Sciascia) e il secondo col titolo Qualcuno alla porta.
Nel 1992 Cristina Comencini ha girato una – poco riuscita – versione cinematografica de La fine è nota ambientandola in Italia e ai tempi degli Anni di piombo.
Nel 2009 La fine è nota (pp. 320, € 8,00) è stato ristampato dalla Sellerio, che lo ha incluso nella collana La rosa dei venti.
Un folle gesto, da spiegare à rebours – Nel commento de La fine è nota, Sciascia avanza l’intrigante ipotesi che in realtà Geoffrey Holiday Hall sia stato lo pseudonimo dietro il quale si celava «uno scrittore ben noto sotto altro nome che si è dato a quella vacanza», pur non escludendo che forse si sia trattato di «un giovane scrittore che ha azzeccato quel primo libro e altri non ha saputo scriverne»: ancora oggi la figura di Holiday Hall è del tutto avvolta nel mistero. Il romanzo prende il titolo da una frase che il protagonista, Bayard Paulton, legge dal Giulio Cesare di Shakeaspeare, allorché Bruto, poco prima della battaglia di Filippi, manifesta il proprio smarrimento di fronte allo scontro che lo attende, consapevole che l’imponderabilità degli eventi umani impedisce di prevederne l’esito: «Oh, se fosse dato all’uomo di conoscere la fine di questo giorno che incombe! Ma basta solo che il giorno trascorra e la sua fine è nota». Le parole di Bruto assumono ben altro significato nel contesto narrativo di Holiday Hall: “nota”, infatti, è soltanto la morte del signor Roy Kearny, mentre vanno spiegate, con un’indagine à rebours, le motivazioni del suo gesto, apparentemente folle.
«Soltanto il signor Paulton mi può aiutare» – Paulton, vicepresidente dei grandi magazzini Noblington, uno dei più affermati megastore di New York, viene suo malgrado coinvolto in una strana e incomprensibile vicenda: mentre sta rientrando a casa dal lavoro vede un uomo cadere giù da una finestra del suo appartamento e spiaccicarsi al suolo a pochi metri da lui. Sua moglie Margo, che ha fatto imprudentemente entrare in casa lo sconosciuto, dice alla polizia che egli ha chiesto di parlare con urgenza col marito, pregandola di acconsentire affinché ne potesse attendere il ritorno e affermando testualmente: «Soltanto il signor Paulton mi può aiutare, nessun altro». Improvvisamente, senza aspettare l’arrivo del vicepresidente della Noblington, l’ospite ha aperto un’ampia finestra e si è gettato nel vuoto, prima che Margo potesse fermarlo. Bayard rimane assai colpito dal tragico avvenimento, al punto da provare un irrazionale senso di colpa per non essere rientrato prima a casa, in tempo per parlare con l’uomo e forse scongiurarne il suicidio. Decide, pertanto, di capire che cosa abbia spinto un individuo ancora giovane e con un discreto lavoro (Roy faceva il meccanico) a compiere un atto così eclatante, proprio in casa sua.
Una ragazza bella e perfida – Paulton conosce una strana signora, Jessamine Dermond (detta “Jessie la Matta”), che si presenta alla polizia per prelevare il corpo del morto, dicendo di averlo incontrato qualche mese prima nella cittadina di Summer Crossing nel Montana, dove gestisce un ristorante. Jessie racconta una storia alquanto improbabile – facendo intendere che Roy fosse un vagabondo, appena uscito dal carcere, di cui lei si era invaghita, ospitandolo per qualche tempo a casa sua – che lascia interdetto Bayard e lo induce a pubblicare su alcuni giornali newyorchesi un annuncio in cui prega chiunque abbia notizie su Kearney di mettersi in contatto con lui. È attraverso questo canale che conosce altre due bizzarre persone, le quali gli forniscono interessanti informazioni sulla vita di Roy: un abile giocatore di scacchi, Pincus Holtsinger (detto “Grande Cervello”), ed Helen Marr, moglie un po’ frivola di un commilitone con cui Kearney ha svolto il servizio militare, all’inizio della Seconda guerra mondiale. Ambedue lo descrivono come uno spirito libero, anticonformista e volitivo, follemente innamorato di una ragazza bella e perfida, Peggy Lankowsky, per la quale ha abbandonato la famiglia e ha rinunciato a iscriversi all’università e che, pur avendolo sposato, lo ha sempre tradito e lo ha pure abbandonato.
Un’America bigotta – Bayard apprende, inoltre, che Kearney ha trascorso cinque anni in carcere per aver disertato durante il servizio di leva, andando alla ricerca del suo perduto amore. Nel corso del romanzo, Holiday Hall delinea i tratti di un’America provinciale, angusta e bacchettona, fanaticamente alle prese con irreali sogni di gloria e di ricchezza (come il padre di Jessie, descritto come un vecchio che “non era mai cresciuto oltre i vent’anni”, o “la Contessa”, moglie alcolizzata di un ufficiale, dai capelli talmente agghindati “sì da dare l’impressione che si fosse appena tolta una tiara”). Un’ America con cui deve fare i conti Paulton, il quale, pur facendo parte di un’elite più ricca e colta, accetta senza pregiudizi di relazionarsi con essa e, trovata casualmente la prova che Jessie non è stata del tutto sincera nel suo racconto, decide di andare a cercarla a Summer Crossing per «scoprire una verità che gli era stata tenuta nascosta, per scoprire la ragione di quella menzogna».
«La colpa è stata scontata» – Nella parte finale del romanzo si susseguono vari colpi di scena. Innanzi tutto, il protagonista riesce a far confessare Jessie, la quale gli svela che, in verità, ella è stata la zia di Roy e lo ha cresciuto come un figlio, dopo la morte prematura della sorella Silverscreen. In seguito, la donna gli rivela la colpa che la ossessiona da tanto tempo e che ha marchiato d’infamia la sua famiglia, costringendola ad abbandonare la città in cui viveva e a spostarsi in un borgo sperduto come Summer Crossing: Roy era un figlio illegittimo, nato da una relazione di Silverscreen con un uomo già sposato. Infine, gli racconta che Roy ha deciso di andare via di casa per amore di Piggy e che vi è tornato, poco prima di morire, sempre in cerca della donna che lo aveva abbandonato. Jessie si dichiara convinta che la morte di Roy, voluta dal destino, sia servita a compensare il peccato commesso dalla sorella e, congedandosi da Paulton, così lo apostrofa: «La colpa è stata scontata. Non potete lasciare lui e me in pace?». Rientrato a New York, Bayard scopre per caso un indizio che gli fa capire perché Roy è venuto a cercarlo e lo porta a sospettare che non si era gettato nel vuoto da solo, ma era stato spinto da qualcuno…
Un epilogo imprevisto e scioccante – Non sveliamo l’imprevisto e, per molti versi, scioccante epilogo del romanzo, per non togliere ai lettori il piacere di scoprire l’arcano che si cela dietro l’intera storia. Diciamo soltanto che La fine è nota è un “giallo” avvincente, ben scritto, che ci ha richiamato alla mente le opere di un altro “giallista” sui generis come Friedrich Dürrenmatt con uno stile narrativo molto originale che, anziché privilegiare l’intreccio poliziesco e lo svolgersi spasmodico degli avvenimenti, si sofferma a descrivere la psicologia dei personaggi e a inquadrare l’ambiente sociale dentro cui la trama s’inserisce, con riferimenti espliciti all’ondata di consumismo sfrenato, di cinismo e di arrivismo che invase gli Stati Uniti nel Secondo dopoguerra. Un romanzo che consigliamo vivamente di leggere, anche a chi non è propriamente un amante del genere noir, poiché riteniamo che, sul piano letterario, valga molto più di tanta roba di dubbio valore che costella l’odierno panorama editoriale.
L’immagine: la copertina de La fine è nota, nell’edizione Sellerio.
Giuseppe Licandro
(LM EXTRA n. 22, 15 dicembre 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 60, dicembre 2010)