Arroccato su un’altura che domina la vallata sottostante, il Castello di Bardi è uno dei gioielli della provincia parmense. Fu costruito nel IX secolo con l’intenzione di erigere una fortezza inespugnabile in grado di contrastare l’avanzata degli Ungari. Nel corso dei decenni venne adibito a dimora signorile, a presidio militare e caserma, infine a municipio.
Oggi è sede del Museo della Civiltà contadina e del Museo del Bracconaggio, ciononostante non ha perso l’incanto di epoche lontane. Il corpo di guardia, la ghiacciaia, le stalle, le sale arredate, i camminamenti di ronda, le sale di tortura e la piazza d’armi, il cortile d’onore e il mastio, rimangono degni testimoni di un tempo glorioso e del triste destino di due innamorati.
Come ogni castello che si rispetti, anche attorno a quello di Bardi ruota una leggenda. Quello tra il XV ed il XVI secolo era un periodo di grandi rivoluzioni territoriali e la regione era scossa da cruenti scontri tra le opposte signorie locali. Tuttavia, tra battaglie, invasioni e defunti da celebrare, la vita nella fortezza proseguiva cercando di conservare una parvenza di normalità. E cos’è meglio dell’amore per distrarsi dal sangue e dalle angherie di una vita tormentata?
Moroello era l’intrepido comandante della guarnigione: stimato e rispettato dal nemico quale abile condottiero, ammirato e venerato dai Landi che vedevano in lui l’uomo perfetto a cui affidare la difesa dei confini. Soleste era la bella e giovane figlia del castellano, già promessa in sposa a un feudatario vicino: un matrimonio che avrebbe portato nuove terre e una solida alleanza. Nonostante la differenza di ceto sociale e le molteplici difficoltà che sarebbero sorte, i due giovani si innamorarono perdutamente, riuscendo a incontrarsi solo grazie alla balia della ragazza che si prodigava in tutto e per tutto a difesa del loro amore.
Ma la sventura era in agguato: Moroello venne improvvisamente chiamato alle armi e, con le sue truppe, dovette raggiungere le frontiere per respingere la minaccia di un’invasione. Per diversi giorni la giovane rimase ad aspettare: dal punto più alto del castello scrutava l’orizzonte in attesa del ritorno del suo amato. Si racconta che non passasse giorno in cui Soleste non si recasse sul mastio e, ogni qualvolta scorgeva in lontananza un uomo a cavallo, il suo cuore sussultava.
Dopo infiniti giorni d’attesa, la visione: una moltitudine di uomini in arme si avvicinavano velocemente agli spalti del castello. Per Soleste fu un’esplosione di gioia, il coronamento di un sogno che sarebbe culminato nel tanto desiderato matrimonio con Moroello. Ma in un attimo tutto si dissolse. L’attenta osservazione dei vessilli la fece trasalire: non erano le bandiere del suo amato quelle che tornavano, ma erano le truppe nemiche che incombevano su di una rocca ormai priva di armigeri per difenderla. Certa di aver perduto il proprio amore in battaglia, restìa a cadere tra le mani degli assassini, Soleste decise di porre fine alla sua esistenza lanciandosi nel vuoto dal mastio.
Ora la schiera di soldati era più vicina: che sciagura rendersi conto che gli armigeri trionfanti erano proprio gli stessi partiti giorni prima! Infatti Moroello, come finale gesto di spregio nei confronti del nemico, aveva comandato ai suoi uomini di indossare i loro colori, senza sapere che con tale ordine aveva condannato involontariamente a morte la sua donna. Travolto dai sensi di colpa, lo sventurato condottiero decise di togliersi la vita allo stesso modo di Soleste: corse sugli spalti e si lasciò cadere nel vuoto.
La leggenda vuole che, da quell’infausto giorno, lo spirito inquieto del cavaliere erri per le stanze e lungo le mura della fortezza, sostando sconsolato nei pressi del mastio, in cui non è raro ascoltare pianti e musiche drammatiche. Le guide del posto parlano di anomali fenomeni olfattivi: un intenso odore di sterco, anche in periodi in cui non è impiegato nelle colture, a cui si contrappone, talvolta, un profumo intensissimo di essenze naturali. I due elementi olfattivi sono spesso percepiti in sequenza all’interno di una particolare stanza.
Sono innumerevoli anche le testimonianze che dichiarano di aver assistito a fenomeni auditivi come voci, suoni e canti. Un signore di Genova, dopo aver pernottato a Bardi con un gruppo di scout, ha giurato di aver sentito un bisbiglìo di voci all’interno dell’ambiente nel quale riposava: levatosi più volte per verificare l’origine del borbottio, rimase di stucco, non potendone individuare l’esatta provenienza. Casualità vuole che l’antica ripartizione del castello indicasse proprio quella stanza come locanda e luogo di ristoro per viandanti e cavalieri. Molti altri insoliti casi sono stati segnalati: canti militari intonati da profonde voci maschili nella piazza d’armi, accompagnati dal suono cadenzato di passi soprattutto lungo gli itinerari di ronda.
Ma non pensate si stia parlando solo di voci e rumori: gli operatori che lavoravano al castello scoprirono più di una volta cerchi di sassi in punti in cui, il giorno prima, non vi era nulla di simile. Il personale narrava di grosse pietre spostate dalla loro sede naturale, così come di strani cambi di posizione dell’oggettistica esposta durante le mostre allestite al castello. Ovviamente, tutti questi movimenti sospetti si verificavano durante le ore notturne, quando la fortezza era chiusa al pubblico.
Michele Dinicastro e Daniele Gullà sono due tra i più seri e affermati parapsicologi italiani, oltre a essere stati i primi a interessarsi alle apparizioni fin dal 1995. Ma il giorno della svolta decisiva fu il 16 ottobre 1999, quando i due ricercatori, nell’intento di trovare ulteriori conferme ai già validi risultati ottenuti, entrarono nuovamente nella fortezza con un’avanzata termocamera in grado di visualizzare le variazioni termiche dell’ambiente.
Fu così che gli apparecchi vennero posizionati in prossimità della scalinata che conduceva alla “sala del boia”, luogo esatto in cui le due sensitive facenti parte del team segnalavano una presenza: la termocamera immortalò la splendida figura di un cavaliere medioevale. L’analisi comparativa con i costumi dell’epoca ha permesso di riscontrare precise analogie con il tipo di armature, la barba ed i capelli. Pertanto, il fantasma sarebbe collocabile attorno all’ultimo decennio del XV secolo, proprio quando si suppone visse Moroello.
Inoltre, all’altezza del deltoide sinistro, il cavaliere sembra indossare un nastro legato. Questo particolare andrebbe ad avvalorare la leggenda: era abitudine che la donna omaggiasse il proprio uomo di una striscia di tessuto ricamata con le proprie mani in occasione di tornei o battaglie, segno di legame indissolubile. Un’altra interpretazione ipotizza che il nastro fungesse da laccio emostatico per contrastare la fuoriuscita del sangue dovuta a una ferita di guerra, giacché una zona della medesima parte anatomica riporta una maggiore densità termica.
Dopo la conoscenza dei fatti arrivano immancabili le riflessioni: tra scetticismo, entusiasmo e pregiudizi, la cosa migliore è sempre verificare di persona. Magari di notte. Tanto, se pensate sia tutta una farsa, non avete nulla da temere.
L’immagine: un’immagine del Castello di Bardi.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 12, 20 agosto 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 56, agosto 2010)