Le cattive prassi psichiatriche in “Italiani da slegare” di Nunzia Manicardi, per Koinè Nuove Edizioni
A seguito dell’applicazione della legge n. 180 del 1978 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) in Italia sono stati chiusi i manicomi. Perciò si crede comunemente che certe pratiche, un tempo “lecite”, oggi non siano più applicate. In Italiani da slegare. Contenzione, la vergogna del silenzio (Koinè Nuove Edizioni, pp. 174, euro 14,00) Nunzia Manicardi ci descrive una sconcertante realtà attraverso le testimonianze di medici, infermieri, pazienti psichiatrici e persone comuni.
«La contenzione è una pratica utilizzata soprattutto in ambito psichiatrico e geriatrico (cioè per gli anziani) per limitare la libertà dei movimenti volontari di una persona assistita da parte del personale a ciò specificatamente autorizzato». Parole che riportano alla mente le immagini descritte da coloro che lavoravano presso gli ospedali psichiatrici prima della loro chiusura nel 1978. Spondine per il letto, fettucce e bracciali per immobilizzare i polsi e le caviglie, maglie e corpetti con bretelle e cinture, sono solo alcuni dei mezzi di contenzione fisica e meccanica che possono essere utilizzati oggi «solo come estrema risorsa e solo in caso di necessità, esclusivamente cioè per impedire che la persona faccia del male a se stessa e/o agli altri ed esclusivamente quando l’operatore sanitario non possa intervenire in altro modo». In realtà, i casi di abuso nell’utilizzo della contenzione, denunciati e non, sono moltissimi anche nel nostro paese. Inoltre, sebbene nel proprio libro la Manicardi volutamente non ne parli, ricordiamo che, oltre alle due contenzioni sopra citate, vi è anche quella farmacologica. Infatti, quando la terapia con i farmaci è continuativa e indiscriminata, essa può assumere una valenza persecutoria nei confronti del paziente, che viene privato della capacità di gestire le proprie emozioni.
«Il 63% dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura usa in maniera routinaria i mezzi di contenzione e opera a porte chiuse con un massiccio uso di psicofarmaci, quando non di elettroshock. Le strutture residenziali solo nel 7% dei casi sono abitazioni di dimensioni e di tipo familiare». Nei Centri di diagnosi e cura sembra che la contenzione sia praticata nel 50% dei casi. Dati allarmanti, confermati da diverse testimonianze di infermieri e psichiatri, oltre che dai pazienti stessi e dai loro avvocati. La Manicardi non si limita a denunciare, ma raccoglie anche proposte concrete di associazioni che lottano da anni contro i soprusi nell’ambito psichiatrico e degli stessi medici.
In primis occorre diffondere delle linee guida comportamentali, creare degli osservatori di tutela nei confronti dei pazienti psichiatrici privi di qualsiasi difesa e di quel personale medico-infermieristico che subisce mobbing, perché non disposto a praticare mezzi coercitivi. Inoltre, se il personale medico e sanitario fosse adeguatamente formato e assunto in numero proporzionato ai pazienti e se la struttura, intesa in senso fisico e umano, fosse maggiormente idonea a ospitare tali pazienti, non si ricorrerebbe così di frequente a tali pratiche. «Un maggior numero di risorse infermieristiche in S.P.D.C. permetterebbe una migliore assistenza generale, la diminuzione del rischio, una contenzione relazionale a dimensione umana» afferma il dottor Valter Fascio, infermiere. Inoltre, durante la stessa intervista, egli aggiunge: «Tanto più insicuro e passivo sarà il ruolo dei curanti in un’organizzazione rigida e gerarchica, dominata dai regolamenti e con atteggiamenti draconiani, autopoietici e autoreferenziali, in strutture chiuse e inadeguate, con bassi livelli d’integrazione multiprofessionale medico infermieristica, e tanto maggiore sarà, con percorrenza dall’alto al basso, il rischio di una risposta contenitiva fisica».
Le testimonianze raccolte nel libro Italiani da slegare dimostrano che il paziente psichiatrico viene ancora considerato come una “macchia” per la società e quindi da “rinchiudere”, nascondere e legare, non solo se strettamente necessario. Gli stessi media presentano un’immagine distorta della “follia”: «Non viene rappresentato un individuo che, pur vivendo un profondo disagio, ha in sé risorse per vivere, amare, che ha capacità di scelta ed è comunque soggetto di diritto», sostiene la dottoressa Claudia Giovannelli, la quale prosegue sostenendo che il paziente viene etichettato come diverso e in quanto tale fa paura. E alla paura si reagisce in due modi: o fuggendo o aggredendo. E il personale medico-sanitario spesso “aggredisce” proprio attraverso la contenzione.
Le immagini: la copertina del libro e Nunzia Manicardi.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno V, n. 55, luglio 2010)
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