Difficile, al giorno d’oggi, trovare qualcuno che sia simpatico, che cammini coi piedi per terra e che, al medesimo tempo, non tradisca i propri studi e le proprie aspirazioni. Difficile perché a intervistare la solita showgirl si rischia prima di tutto di intervistare un futuro ministro e poi di apparire troppo popolari e populisti, oppure, nel caso opposto, si corre il rischio di cadere nell’intellettualismo esibito, lontano anni luce anch’esso dalla vera cultura.
Daria D’Antonio mi è sembrata un buon compromesso: è una giovane promessa del teatro, si muove con leggerezza e tanta umiltà nei palchi napoletani (e non solo) ed è capace di riempire lo schermo televisivo (per intenderci quello di Rai 3 per Un posto al sole) con la spontaneità e la bellezza dei suoi occhi senza perdere quel tanto di intellettuale che rassicura e vizia alquanto il pubblico.
Un tipo alla Eduardo, alla napoletana, per intenderci, con quel modo un po’ spiritoso e un po’ blasé, capace di farla passare da Shakespeare al cinema senza indossare alcuna maschera e che mi ha permesso di intervistarla e raccoglierne i pensieri sulla vita e la carriera.
Gli esordi
Sei giovane, eppure con grandi esperienze culturali alle spalle. Dal 1995 al 1998 hai studiato teatro con Renato Carpentieri (La confessione di Walter Manfrè nel 1996, La nascita del teatro e Don Fausto nel 1997, Corti di teatro di Eduardo Tartaglia nel 1998), mentre nel 2003 hai lavorato sul testo de L’orso di Anton Cechov (regia di Giuliana Pisano). Quale reputi l’esperienza che ti ha davvero cambiato la vita?
«Credo che la mia vita sia cambiata quando ho preso coscienza del mio Essere attrice… invece l’esperienza lavorativa che mi ha segnata è stata indubbiamente Un posto al sole (dal 1998 presenza fissa). Mi ha fatto conoscere al grande pubblico e mi ha dato notorietà: due elementi fondamentali per un attore, anche se io non ho mai smesso di credere nelle polverose e solitarie tavole del palcoscenico…».
Nel 2006 hai lavorato al progetto Pulcinella al Mercadante (per lo Stabile di Napoli) e sei poi passata attraverso varie esperienze come quella della regia per Credimi, episodio de Il letto di Giuseppe Manfridi (teatro Bellini di Napoli), e quella del cinema con Un paio di occhiali (regia di Carlo Damasco, 58^ Mostra internazionale del cinema di Venezia), Lascia perdere Johnny (2007, regia di Fabrizio Bentivoglio) e La seconda volta non si scorda mai (regia di Francesco Ranieri Martinotti). Però so che hai completato i tuoi studi con Isa Danieli, storica interprete del teatro napoletano (e non solo). Hai qualche aneddoto da raccontarci?
«Isa è stato l’incontro più bello e magico del mio percorso. Mi ha segnata profondamente nonostante la mia giovane età: avevo 14 anni quando ho frequentato la sua scuola e il ricordo che conserverò per sempre è la prima volta che la vidi recitare nel 1990 in Angeli all’inferno di Francesco Silvestri. Me ne innamorai e capii che quello era esattamente cioè che un giorno sarei voluta diventare… e di strada ce n’è ancora tanta da fare!».
Formazione di un’attrice
So che adesso, con l’Associazione culturale Talia, dirigi una scuola di recitazione teatrale e cinematografica a Portici (Napoli, ovviamente!) dove insegni recitazione in vari corsi attivati per bambini e adulti. Il teatro e il cinema, senza dubbio, sono i canali artistici e di comunicazione più vicini alla letteratura e dunque alla formazione: quali libri ti hanno formato e quali ti ricorderai sempre?
«La lettura è la mia più grande fonte d’ispirazione, leggo tutto, di tutto… dappertutto! In linea di massima mi hanno formata i saggi di Peter Brook, ma è difficile a dirsi. La letteratura e la saggistica, specialmente le opere teatrali, hanno un respiro così ampio…».
L’ultimo libro letto?
«Leggende napoletane di Matilde Serao. Vorrei farne uno spettacolo per voce sola e chitarra».
Un’interpretazione indimenticabile che rimarrà per sempre il tuo punto fisso da imitare?
«Sarò anche ripetitiva ma Isa Danieli è e rimarrà sempre il mio punto fisso. Basti pensare alle sue interpretazioni in Filumena Marturano, Tomba di cani e, non ultima, Ecuba: insomma, quando ci riuscirò anch’io?».
Donna a teatro e donna nella realtà
Daria, essere donna a teatro, secondo alcune tue colleghe, è ancora un fatto difficile. E ancor di più in televisione, dove i ruoli scarseggiano. Ma tu hai mai sentito questo peso?
«L’ho sentito e lo sento tutti i giorni, è una lotta continua ma i risultati più belli, secondo me, sono quelli ottenuti lottando! Purtroppo la letteratura teatrale scarseggia di ruoli femminili, anche se quelli che esistono sono di rara bellezza. Oggi dobbiamo sperare negli autori contemporanei che, ci si augura, ricomincino a scrivere per le donne!».
Parliamo di essere donna nella realtà: corpo, trucco e parrucca, la donna sui media e troppo spesso anche in politica (tranne le dovute eccezioni) sembra ridotta a questo, a una velina incattivita con il mondo dopo la falsa promessa della meritocrazia. Com’è essere donna in Italia adesso? Pensi che siamo davvero ridotti così male o, come direbbe Malaparte, è il sintomo di un’Italia che si è ridotta soltanto a un ciuffo di peli biondi?
«Non sono pudica ma ultimamente inizia a darmi seriamente fastidio tutta questa gratuita esibizione del corpo femminile in televisione; ho paura si stia un po’ dimenticando cosa significhi essere donna. Ma sono sicura che sia solo una moda, presto gli italiani si stancheranno anche di questo… almeno spero!».
La pelle
Ho citato Curzio Malaparte; hai lavorato con Marco Baliani sul tema de La pelle. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
«Lavorare con Marco Baliani mi ha aiutato a ritrovare un rapporto con me stessa e con il mio corpo. Grazie alla sua incredibile capacità di farti mettere “a nudo” mi sono ritrovata, durante i giorni di laboratorio con lui, a spingere il mio corpo (con allora 30 chili in più di oggi) veramente al limite. Mi è dispiaciuto tanto non aver continuato con lui il percorso che ha portato alla messa in scena dello spettacolo La pelle».
La tua pelle (ma anche la mia!) è sempre stata un po’ “abbondante”. Credo che questa caratteristica a teatro possa in qualche modo attenuarsi e scomparire (se non essere valorizzata). E’ come se a teatro si stesse in acqua: si perde gravità e i contorni sono sfumati. Per alcuni, però, può essere un difetto. Cosa ne pensi?
«Non ho mai pensato alla mia pelle come a un difetto, sono sempre stata pronta ad affrontare qualsiasi tipo di ruolo: dalla Vamp alla “sfigatella”, ho interpretato un uomo e una prostituta… ma tutto ciò solo in teatro! Il cinema e la televisione lasciano meno spazio alla fantasia, tutto è così come lo vedi. Un’attrice con qualche chilo in più al cinema o in tv può funzionare in un ruolo cosiddetto “normale”? La sfida che voglio lanciare è proprio questa: chi è disposto a rischiare?».
Napoli
Sei di Napoli: Napoli milionaria, Napoli dei bassifondi, Napoli dei circoli esclusivi, Napoli dei Borboni, Napoli dei rifiuti: ci racconti la tua Napoli?
«Napoli? Guai a chi me la tocca! Per me è la città per eccellenza, con tutte le sue contraddizioni, i suoi bassifondi, il panorama, la spazzatura e la Camorra… ma anche la sua storia, le sue chiese, i vicoli e le piazze, la gente bene e i delinquenti, gli scippi e l’allegria dei mercati, la povertà, la miseria e la bontà d’animo… Dove la trovi un’altra città così? Peccato che spesso si cerca di dare di Napoli un’idea perversa. Il dolore più grande lo provai quando un’amica sarda che vive a Roma, dietro un mio invito a venire a Napoli, mi rispose: «Ho paura»! Non voglio che la mia Napoli faccia paura, ma mi rendo conto che chi la vive attraverso i telegiornali non può averne che quest’idea! A proposito: la mia amica è venuta poi a Napoli e non vede l’ora di ritornarci!».
Il Sud, senza dubbio, è capace di dare tanto a un artista in termini di ispirazione, di magia e di sogno… ma in termini di opportunità? La tua carriera sarebbe stata la stessa se fossi nata a Milano?
«Mamma mia! A Milano no! Scherzo… Non so, indubbiamente il luogo in cui nasci e cresci stabilisce l’inizio del viaggio… poi, in qualunque luogo della terra tu sia, chi e cosa diventerai dipende solo da te!».
Bene, Daria, io provo a proseguire il mio viaggio nel mondo delle persone che, nonostante tutto, hanno deciso di affrontare la vita con il sorriso, lo studio e la preparazione… e questi tuoi occhi – e lo dico senza obiettività perché di loro c’è da innamorarsi – mi faranno compagnia. Grazie!
L’immagine: Daria D’Antonio, primo piano (si ringrazia Federica Cadeddu per l’elaborazione grafica dell’immagine, ndr).
Matteo Tuveri
(LM MAGAZINE n. 10, 15 maggio 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 53, maggio 2010)