Gli ultimi sviluppi di Calciopoli pongono qualche dubbio sull’effettivo svolgimento dei fatti, sulla loro ricostruzione, sui verdetti sanciti dalla giustizia sportiva, anche se, comunque, il mondo che ne emerge resta squallido e poco, molto poco “sportivo”.
Giuseppe Belziti, con il suo romanzo “western” Il Giudice & il Pistolero. Una metafora di Calciopoli (pp. 168, euro 15,00, seconda uscita della collana di letteratura satirica e umoristica La secchia rapita della inEdition editrice/Collane di LucidaMente), aveva previsto con largo anticipo – il libro è uscito nel luglio 2009 – quello che sta accadendo adesso…
In questo numero LucidaMente propone del libro dello scrittore calabrese, nonché juventino, un brano in cui è facile scorgere riferimenti calcistici e complotti dettati dall’invidia verso la “Vecchia Signora”, ovvero la “Juin Oil”.
La Juin Oil era divenuta un mito laggiù nel Texas, un’azienda modello che tutti avrebbero voluto imitare: e la sua fortuna era dovuta a Giraud “Il Francese” e Lucky Mogger. I due avevano un fiuto eccezionale per gli affari, combinato con una grande capacità imprenditoriale. Sembrava che niente e nessuno potesse mettere in discussione la loro supremazia. Soprattutto negli ultimi due anni erano riusciti ad arrivare là dove nessuno era mai arrivato, nemmeno Moran con tutti i suoi investimenti, la maggior parte dei quali avventati, disastrosi e tragicomici.
Infatti, con l’ausilio dei migliori tecnici in circolazione, che avevano avuto la lungimiranza di mettere sotto contratto, Giraud e Mogger erano riusciti a trovare il petrolio nella Death Valley, e che giacimento, ragazzi! Tutti erano a conoscenza della reazione di Moran alla ferale notizia: «Caspita!» aveva esclamato. «In quel posto c’è materiale da estrarre per i prossimi dieci anni e oltre. Siamo rovinati!».
Proprio in quel momento, invece, ebbe inizio la rovina della Juin Oil Corporation. Ed era chiaro a tutti chi sarebbe stato a godere dei frutti della loro disgrazia: la International Petroleum & Co. di Moran “Il Gufo” e del suo socio “Happy Tronky” Prover, che con la sua rete di spioni era la vera mente occulta di tutta l’operazione. Avrebbero rilevato gratis il frutto delle fatiche della Juin Oil, visto che nessuno si sarebbe presentato a reclamare e che tutti coloro che avrebbero dovuto impedirlo erano sul loro libro paga, tanto che il Commissario Reds era addirittura nel Consiglio di Amministrazione della ditta di Moran. E visto che perfino il Governatore Prouds si era disinteressato di tutto, dando di fatto via libera all’operazione. Ed alla fin fine, i politici tutti, con questa manovra, avrebbero sviato l’attenzione pubblica, distogliendola da altre imprese poco pulite che rischiavano di rovinarli o quantomeno di metterli in difficoltà.
Poiché era chiaro che da molti decenni la cosa pubblica era stata gestita in una maniera molto sconsiderata e imprudente, e che questa gestione spensierata stava per venire a galla portando alla rovina tutta una classe politica, statale e imprenditoriale. Il nuovo scandalo arrivava quindi al momento giusto per catturare l’interesse di tutti e per far dimenticare gli imbrogli e gli intrecci di potere.
Tuttavia, per non incorrere nel rischio che qualcuno potesse interessarsi al caso facendo così naufragare il piano tanto arditamente e malignamente costruito, Prover aveva creato tutto un sistema di ricatti basato su prove e accertamenti raccolti prevalentemente con mezzi illeciti, in modo da avere in pugno tutto il sistema. In questo modo nessuno avrebbe potuto ribellarsi, nessuno avrebbe potuto dire: «Guardate che così non va. Il processo che avete allestito è solo una farsa. Non avete dato possibilità agli imputati di difendersi. Tutto questo è inaccettabile per un paese civile. Ecc.».
Nessuno poteva permettersi di manifestare il proprio disappunto, perché tutti erano nelle mani di Prover, e Prover avrebbe potuto rovinarli in un attimo. L’unica strada sarebbe stata quella di scendere in piazza e combattere, rispondendo con la violenza alla prepotenza di coloro che avevano perseguito un unico scopo, ovvero quello di distruggere gli avversari con mezzi illeciti e disonesti, e di gioire di questa pur effimera vittoria, ottenuta non grazie alle proprie capacità, ma in virtù degli intrallazzi tra potere, politica e finanza. Comunque i tempi per combattere non erano ancora maturi, non era ancora giunto il momento della vendetta, eppure, quanto più a lungo questo sentimento avesse covato sotto la cenere, tanto più potente sarebbe stata la punizione inflitta a coloro che ne erano stati gli artefici e gli ideatori.
I giornalisti, poi, erano una vera calamità: erano da sempre abituati a saltare sul carro dei vincitori, e lo facevano senza alcuna vergogna. Sempre pronti a genuflettersi davanti a chi prometteva loro un avanzamento di carriera, sempre pronti a gettare fango sulle altre persone per soldi o per un proprio tornaconto personale. Erano ridicoli e sapevano di esserlo ma sembrava che non gliene importasse niente, volevano sempre e a tutti i costi compiacere i loro padroni.
(da Giuseppe Belziti, Il Giudice %26 il Pistolero. Una metafora di Calciopoli, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina del libro di Belziti.
Simone Jacca
(Lucidamente, anno V, n. 55, luglio 2010)