I monti Udzungwa sono una sorta di Galapagos della Tanzania: ricoperte da una foresta tropicale fitta fitta, un verde intricato che sale su per le montagne. Solo che, chissà perché, mi aspettavo un posto più fresco del resto della Tanzania, anche se dicembre è in effetti un mese abbastanza torrido.
E invece mi sono ritrovata ad arrampicarmi dietro alla guida in un microclima afoso, umido, di un caldo acquoso soffocante. Certo lo spettacolo è notevole, con alberi enormi, altissimi, alcuni talmente contorti su se stessi che tornano a terra invece che lanciarsi in aria, e così elastici che oscillano a passarci appena accanto.
Ovviamente gli insetti in questo habitat raggiungono una stazza inusitata. Lascio perdere la descrizione di un millepiedi nero con zampe e antenne rosse, del diametro di un centimetro buono, per la lunghezza di una spanna. Lascio perdere perché dovrei anche parlare di quando me lo sono ritrovato nella stanza, e davvero è un’esperienza che non voglio ripercorrere!
Dopo aver pensato più volte di non poter fare un altro passo, dopo innumerevoli pause, con la povera guida che aspettava paziente, e non poteva credere che qualcuno potesse essere così lento (e forse neanche che potesse sudare tanto, chissà!), insomma raggiungiamo finalmente la meta: il punto più alto delle cascate che formano una piccola pozza di acqua freddissima dove poter fare il bagno.
Un angolo paradisiaco nel quale tutti i turisti si fermano a rinfrescarsi, ma eccoci al punto: solo i turisti. Giovani, bambini, anziani, vecchie signore: solo bianchi. Chiedo alla guida se non voglia provare a bagnarsi almeno i piedi, ma lui rifiuta con delicata fermezza.
E allora mi torna in mente una storia che mi aveva raccontato Selemani, un ragazzo che lavora nell’ostello del Cefa a Dar Es Salaam, dove sono rimasta per tre mesi. È la storia del Chunussi.
Pare che le madri un po’ ansiose raccontino una leggenda ai bambini tanzaniani troppo affascinati dall’acqua. Che esiste una specie di mostro marino, nei mari ma anche nei laghi profondi. Un essere trasparente, informe quasi, che attrae i nuotatori quando si avventurano tra le acque. Gli ignari sono attirati sempre più al largo, finché non possono più tornare indietro, e a quel punto il Chunussi colpisce. Attacca la preda per succhiarne il sangue.
Il cadavere verrà risospinto sulla spiaggia dalla marea, giorni e giorni dopo, o chissà quando.
Con questa storia in testa guardo la mia guida, insieme a quelle di tutti gli altri turisti, starsene in disparte, sedute sulle rocce ben distanti dall’acqua. Quando abbiamo lasciato la bella pozza mi sono ripromessa di far luce sulla questione. Così, quando un po’ più avanti nel percorso abbiamo incontrato un altro laghetto, senza cascata, chiedo al ragazzo di sederci un po’ sul suo bordo, tanto per bagnare i piedi. Ma ancora una volta, mentre io ho già le gambe immerse fino al ginocchio, lui aveva appena appena tolto una scarpa.
Dopo una ventina di minuti ha appoggiato un alluce sulla superficie dell’acqua, per poi toglierlo immediatamente e mai più riprovarci. Dice che l’acqua dei laghi e del mare è malvista da quasi tutti i tanzaniani. Non ha fatto parola del fantomatico Chunussi.
Un antico terrore dell’inconscio?
L’immagine: le cascate sui monti Udzungwa.
Eva Brugnettini
(LM MAGAZINE n. 8, 17 agosto 2009, supplemento a LucidaMente, anno IV, n. 44, agosto 2009)