Esistono eventi che assumono un significato simbolico che travalica la realtà materiale. Uno di questi è il terremoto in Emilia
Negli anni Cinquanta-Settanta del secolo scorso, era “simpatica” abitudine, nei campi di calcio del Nord Italia di tutte le serie, quando la squadra ospite proveniva da una città siciliana, campana, lucana, calabrese, pugliese o abruzzese, intonare il becero coretto «terremotati-terremotati!». Insomma, vi era una parte della penisola e del mondo deputata a essere “brutta, sporca e cattiva” e che andava insultata e umiliata. Cui spettavano le disgrazie. Tutte. La miseria, la delinquenza, le congenite pigrizia e incapacità.
Il crollo delle certezze – Pertanto anche la natura sceglieva di scatenare la propria furia su questi territori, con siccità (o alluvioni), mareggiate, carestie, e, ancor più significativi, eruzioni vulcaniche e terremoti. Dunque, secondo una concezione lombrosiana estesa a tutto e tutti, vi era un paese ricco, florido, incorruttibile, capace, produttivo, benedetto dalla natura (e da dio); e un altro, corrotto, misero e miserabile, popolato da incapaci e perseguitato – quasi giustamente – dai fulmini della natura. Così tutto risultava ordinato, tutto tranquillo. Tranquillizzante. Poi venne il terremoto del Friuli del 1976 e forse qualcosa cambiò.
Eventi-simbolo – Sembra che, quando siamo internamente confusi, cerchiamo al di fuori di noi “segnali”. In realtà si tratta di proiezioni delle nostre speranze, paure, pregiudizi. E del nostro inconscio. Così nascono i simboli. Ora, il terremoto che ha devastato l’Emilia – e speriamo che il peggio sia passato, ma non sembra – si presta benissimo a essere interpretato simbolicamente. Sul piano non tanto poetico, quanto economico-sociale.
Lo stellone è finito – Nel nostro Paese, in caduta libera sotto tutti i punti di vista, eventi come le alluvioni in Liguria e Sicilia, la bomba di Brindisi, la calcistica scommessopoli e persino lo 0-3 subito dalla nostra nazionale con la Russia appaiono segni inquietanti. Ancor di più, forse, eventi naturali eccezionali come le grandi nevicate dello scorso febbraio e l’attuale sisma. E che a essere colpita da entrambe le disgrazie sia stata un’area tra le più produttive del Paese, una regione nel passato presa ad esempio come modello positivo (l’Emilia-Romagna “rossa” e produttiva, a sua volta parte del Nord-Est dei piccoli imprenditori, quindi dei capannoni che sorgevano come funghi), sembra quasi significare che lo “stellone” che avrebbe da sempre protetto il nostro Paese ormai ha perso il proprio potere e persino le regioni più ricche e “civili” sono esposte ai colpi della sfortuna. Deficit pubblico, disoccupazione, criminalità mafiosa, politici corrotti, miseria, incultura, devastazione del territorio… occorre continuare i cahiers de doléances di questo povero Paese dominato dalla ferocia?
Lo specchio dell’Italia di oggi – Un Paese in crollo verticale. Come i crolli provocati dal sisma. Un Paese in disperato deficit energetico. Come dimostra la ricerca di gas proprio nelle regioni colpite, con probabili collegamenti e relazioni col sisma (vedi Report, Rai 3, del 3 giugno 2012). Un Paese con forte presenza di migranti, dei quali molti non vogliono accorgersi. Come le migliaia di famiglie “extracomunitarie” costrette a riparare in tenda dopo il sisma. Un Paese, appunto, in cui si muore spesso sul lavoro per mancanza di sicurezza. Come gli operai, italiani e di origine straniera, sepolti dal crollo dei capannoni. Un Paese in tracollo economico. Proprio come sono crollati i capannoni, a loro volta segno di una corsa alla ricchezza, da tempo rallentata o fermatasi del tutto.
Il Paese della superficialità e della retorica – Un Paese ormai incapace di qualche giorno di raccoglimento, riflessione, meditazione, “religiosità”, anche di fronte alla morte e alle catastrofi, preda di una imbecille frenesia “ottimistica”. Come dimostrano gli esaltati inviti alla immediata «ripresa» e a «ricostruire» subito, cartelli entusiastici esaltanti la “dura scorza” della popolazione colpita o gli orrendi applausi ai funerali delle vittime di ogni evento. Un Paese, appunto, ancora dominato dalla retorica in generale e da quell’idiota idea delle «magnifiche sorte e progressive» schernite già quasi duecento anni fa da Giacomo Leopardi. Come hanno dimostrato i discorsi di tanti uomini politici, quali Napolitano e Monti, e la scelta di celebrare comunque il 2 Giugno con una parata militare. Un Paese in balìa del Vaticano, tanto da dare spazio alla tournèe milanese di Ratzinger e alle sue assurde esternazioni su “difesa della vita e della famiglia tradizionale”, come se fossero questi i problemi principali del nostro Paese e del nostro pianeta, ormai schiacciato semmai dalla sovrappopolazione.
Povera Emilia! – Infine, a simboleggiare la caduta culturale del nostro Paese, anche di chi dovrebbe fare un mestiere “colto” come il giornalista, l’ignoranza, a causa della quale si è scritto per molti giorni che il terremoto avrebbe colpito l’«Emilia Romagna» (senza trattino). Eh, sì, perché per tantissimi “Romagna” è un aggettivo di “Emilia”, Bologna o Modena stanno in Romagna, e – almeno concedete loro questo – Emilia-Romagna si scrive senza trattino (già, perché, se si scrivesse col trattino, forse si capirebbe che si tratta di due regioni diverse, unite solo sul piano amministrativo regionale…).
Speriamo nella solidarietà – La popolazione colpita dal sisma si è sempre caratterizzata per solidarietà, efficienza, interventi di soccorso. Ricordiamo che a Reggio Calabria esiste ancora un quartiere “Modena”, il cui nome prende origine dal fatto che furono reggiani e modenesi a costruire baracche provvisorie per le vittime del catastrofico terremoto-maremoto del 1908. In Irpinia (1980), tra i primi a intervenire furono appunto emiliani e romagnoli, bergamaschi e bresciani, toscani e veneti (alla faccia dell’odio successivamente propagato dalla Lega Nord). E crediamo che ugualmente sia avvenuto nel terremoto del Belice (1968) e, più recentemente, all’Aquila. Possiamo augurarci che tanta solidarietà venga oggi un po’ restituita?
Le immagini: la realtà spezzata.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VII, n. 78, giugno 2012)
Chi conosce le sventure proprie è sempre sensibile alle sventure altrui e le sente dentro il proprio cuore come fossero proprie.
Reggio Calabria è stata da sempre terra di sventure e la Calabria ha pagato un prezzo altissimo anche all’unità d’Italia con le devastazioni e le persecuzioni filo-naziste che i Savoia hanno perpetrato nel Sud a danno anche di una parte di popolazione estranea, ad esempio, ai fatti del brigantaggio andando a colpire degli innocenti sospettati di essere sostenitori o simpatizzanti dei partigiani che non accettavano la dominazione piemontese del sud. Insomma la ‘ndrangheta alla fine è risultata più tenera nelle sue vendette dalla pulizia etnica eseguita dai Savoia che ha deportato non solo in Italia (Fenestrelle, Bard, ecc…) ma anche in alcune lande estere del nord Europa, intere popolazioni meridionali solo per il fatto che erano parenti, lontani parenti, presunti partigiani e presunti simpatizzanti dei briganti e l’esercito impiegato per la repressione al comando del Generale Cialdini si è comportato peggio degli eserciti che nel medioevo hanno invaso l’Italia, incendiando villaggi ed abitazioni di povera gente, uccidendo, rubando, stuprando donne e bambine ed immiserendo ulteriormente le popolazioni del sud più di quanto fossero già.
E questo che i libri di testo non dicono (e che sarebbe ora che dicessero) e dicessero anche che, nonostante tutto questo, le popolazioni del sud hanno continuato ad esprimere la propria solidarietà alle popolazioni delle altre regioni colpite da drammi simili ai nostri ed a sentirli come propri.
E, poi, il popolo del Sud accoglie tutti in modo espansivo come non fa con la propria gente. Mi ricordo che mia madre (classe 1906, quindi di memoria ancora fresca ai massacri piemontesi al sud) cantasse “Viva il re” e credesse all’unità d’Italia a dimostrazione che il senso di appartenenza ad un Italia imposta era vivido e reale nella maggioranza di quella gente del sud che la storia vera dell’unificazione non l’aveva ne vissuta, ne capita e neppure sofferta.
Con tutto il rispetto per le opinioni altrui, non credo che la sovrappopolazione sia il principale problema dell’Italia. Il popolo, almeno dal 1992 ma in particolare da quando si è insediato il governo del “preside” Rigor Mortis, noi italiani (ma anche gli altri europei) abbiamo ricevuto quattro fattispecie di schiaffi:
1) come famiglie, disoccupati più o meno giovani e pensionati a cui hanno ridotto lo stato sociale ed i servizi mentre aumentavano le tasse dirette ed indirette
2) come imprese produttive e lavoratori che in esse prestano opera, che hanno visto la restrisione del credito, la crescita delle pastoie burocratiche, un travaso di risorse dall’economia “vera” a quella finta, di “carta”, delle banche private e degli speculatori che lucrano sulle nostre disgrazie, quando non le provocano
3) come Stato che, a fronte di perdita di sovranità monetaria, ha subito anche la riduzione di quella economica, politica e finanziaria, mentre qualche imbecille (o, peggio, disonesto complice) cominciava a chiedere di dismettere il patrimonio pubblico e persino le riserve aurifere per pagare un debito FINTO al 87-98% e che, in base alle condizioni internazionali di detestabilità, è illegittimo e ci possiamo rifiutare LE-GAL-MEN-TE di pagare.
4) infine come Europa, ridotta ad un’accozzaglia informe di ex-Stati nazionali abitati da 550 milioni di servi della gleba, uniti solo da una moneta che non vale niente, perchè espressione solo della voglia di egemonia di un pugno di eurocrati avidi, spietati, sanguinari esecutori della NATO (North Atlantic Terrorist Organization), soggetti alle paturnie dell Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale per i quali siamo carne da macello, nè più nè meno che per i finanzieri d’assalto alla George Soros (non a caso buon amico degli speculatori “de nonantri” stile Cerlo De Benedetti)
Questi sono i moderni invasori in doppio petto grigio: peggio di quelli del triste decennio 1860-70… in quanto loro epigoni ma con molti strumenti in più. E gli abbiamo anche sbattuto le mani quando si sono sostituiti al Salame Nano del PDL…
Gentilissimo lettore, parlando di “sovrappopolazione”, mi riferivo più al pianeta che all’Italia. Tuttavia, il nostro territorio, essenzialmente montuoso, con la popolazione che quindi si concentra in poche aree di pianura e metropolitane, non mi sembra consenta un ulteriore incremento demografico. Se si guarda in giro, vede che siamo “ammucchiati” l’uno sull’altro, che la speculazione edilizia impera e che le risorse naturali sono depredate per garantire costruzioni edilizie, acqua potabile, spiagge a pagamento per ridicoli “turisti” ecc. Pretendere natura, benessere consumistico ed espansione demografica tutti insieme è folle. Per il resto, trovo valide e interessanti le sue analisi.