Intervista a Tiziana Ferrario, volto noto del Tg1, che racconta il lavoro di cronista televisivo e l’esperienza maturata come inviata di guerra in Afghanistan
Tiziana Ferrario è un volto noto del Tg1. Nata a Milano 55 anni fa, è iscritta dal 1980 all’albo dei giornalisti professionisti. La sua carriera giornalistica ha avuto inizio lavorando per Telemilano, emittente privata lombarda che diverrà in seguito Canale 5. La sua entrata in Rai a Milano risale al 1979 e, dopo tre anni, viene convocata dal direttore del Tg1 Albino Longhi a Roma per condurre il Tg delle 22,30. La Ferrario è la prima donna ad andare in video in un’edizione serale. Nel 1987 lavora anche a Italia sera, trasmissione serale di RaiUno con uno spazio dedicato ai giovani e al lavoro. Nel 1988 partecipa al lancio della prima edizione di Uno Mattina, conducendo i telegiornali e curando una serie di servizi giornalistici speciali. Altra importante esperienza è la conduzione nel 1997-1998 del Tg dei ragazzi, premiato con il Telegatto e confermato nella successiva edizione del 1999 con il nome di GT ragazzi, un programma d’informazione nato da una sua idea. Nel giugno 2001 conduce su Rai 1 la trasmissione Concerto per la festa della Repubblica. Per anni è stata inviata come reporter di guerra: per il Tg1 ha visitato numerosi Paesi in emergenza tra cui l’Afghanistan; nel 2000 è stata in Zambia con una delegazione dell’Unicef Italia. In occasione della sua presenza a Lamezia Terme per la rassegna Liberiamo La Pace, la giornalista ci ha concesso un’intervista.
Da inviata di guerra come vede la situazione dei soldati italiani in Afghanistan?«I nostri soldati stanno facendo un grande lavoro in Afghanistan. Ormai sono dieci anni che stanno là. Hanno il controllo su una provincia enorme che si estende lungo il confine con l’Iran. Si tratta di una zona molto sensibile. Torneranno a casa quando tornerà a casa tutta la Nato, ma è chiaro che ciò accadrà entro il 2014. Il Paese sarà nelle mani di chi in quel momento ne prenderà il controllo. Mi auguro che quando lasceremo quei territori non saranno le donne a pagare il prezzo più alto».
Ha mai rischiato la sua vita come inviata di guerra?«Non credo di aver rischiato, ma fare l’inviata di guerra è un mestiere di per sé pericoloso. Ogni anno ci sono giornalisti che muoiono. L’esempio più recente è relativo a quanto sta accadendo in Siria, che è diventato uno dei Paese più pericolosi per i cronisti. Tale mestiere si fa per passione, ma bisogna stare anche molto attenti».
Quanto l’informazione che ci viene data su ciò che accade nei Paesi di guerra è controllata?«I media oggi sono sempre più strumentalizzati: è più facile intrattenere che informare.Mi hanno colpito le dimissioni in massa di alcuni impiegati importanti di Al Jazeera a Beirut. Un giornalista, il corrispondente Ali Hashem, aveva documentato come dal Libano entrassero armi in Siria e voleva informare di ciò l’opinione pubblica, ma non gli è stato consentito. Il reporter ha rassegnato così le dimissioni e, con lui, tanti giornalisti, che hanno accusato Al Jazeera di manipolazione dell’informazione e di censura e hanno considerato assolutamente parziale e non aderente alla realtà il modo con cui l’emittente televisiva avrebbe raccontato la primavera araba. Un’informazione canalizzata, dunque, su ciò che accadeva in Siria. Al Jazeera sarebbe diventato in Medio Oriente la voce del governo del Qatar contro Bashar al-Assad. Anche gli occidentali stanno raccontando la storia a modo loro. Sono i governi che decidono come filtrare le informazioni».
Lei non solo è stata inviata di guerra, ma si è occupata anche di fornire un’informazione giornalistica ai giovani, ideando il “Tg dei ragazzi”. Qual era l’obiettivo?«Io considero una vittoria quella dell’informazione per i ragazzi, perché nessuno aveva mai provato a trattarli come persone da prendere sul serio. Noi l’abbiamo fatto. Il telegiornale era fatto con gli stessi giornalisti e corrispondenti dall’estero per gli adulti. Semplicemente cambiava il linguaggio e, soprattutto, c’era un modo di raccontare anche gli eventi negativi in modo diverso. Per il Tg1 credo sia stata una sfida vinta e per me è stata una grande soddisfazione. Mi è dispiaciuto lasciare la trasmissione, perché la vivevo come una mia creatura. Ancora oggi trovo persone che mi riconoscono perché guardavano Tg ragazzi».
Da quanti anni lavora alla Rai?«Tanti…»
Facendo un rapido conteggio, sono trentatre anni. Come è cambiata la conduzione della Rai nel corso di questi anni?«La Rai continua a essere la più grande azienda editoriale del Paese. Ha avuto momenti di difficoltà. Quello attuale è sicuramente un momento di transizione, anche perché devono cambiare tutti i vertici della Rai, quindi c’è una grande attesa. Vedremo cosa decide di fare il governo Monti, perché comunque la Rai, per quella che è la legge attuale, è sotto il controllo di una Commissione di vigilanza nominata dal Parlamento».
Lei è anche consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Quanto è intaccata da questo governo la categoria?«Questo governo non sta attaccando l’Odg, sta solo liberalizzando alcune professioni. Stiamo trattando per una legge di riforma. In tempi rapidi credo che avremo una nuova normativa. È chiaro che l’ordine continuerà a esistere, probabilmente con un ruolo diverso».
E i pubblicisti?«Dipenderà dalle trattative. Bisogna vedere alla fine quali saranno gli accordi. Ma io credo che oggi ci sia uno sfruttamento tale dei giornalisti, per cui, a differenza del passato, molti giornalisti hanno questa unica fonte di reddito, eppure, non venendo assunti, vanno a finire tutti nel calderone dei pubblicisti. Mi auguro che la riforma consenta di far uscire da questa sacca di sfruttamento del lavoro precario le centinaia di giornalisti che ci stanno dentro, consentendo a tutti di poter vivere con uno stipendio dignitoso in una situazione di maggiore sicurezza».
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Dora Anna Rocca
(LucidaMente, anno VII, n. 2012)