La riforma Gelmini ha stravolto le scuole a indirizzo artistico, abolendo l’Istituto d’arte e introducendo un nuovo tipo di liceo, nel quale però non si studieranno più alcune significative discipline
Ai miei tempi l’Istituto statale d’arte era una scuola d’avanguardia che permetteva, finiti i cinque anni (3+2), l’iscrizione in qualsiasi facoltà universitaria a fronte del Liceo artistico che, con i suoi quattro anni di corso di studio, richiedeva un esame di ammissione ovunque si volessero proseguire gli studi. Roba da matusa.
Oggi, nella scuola riformata (o deformata?), l’Istituto d’arte non esiste più: è diventato “Liceo”. Amen. Certo, l’Istituto d’arte era una struttura più costosa del liceo, piena di laboratori e materiali particolari e specifici che dissanguavano il Ministero della (allora) Pubblica istruzione, ma che preparavano meglio del liceo verso il mondo del lavoro (notare bene!). Poi, peggiorando la mia situazione (a posteriori), ho frequentato l’Accademia di belle arti, scuola di scultura. In un’Accademia di un qualsiasi luogo d’Italia, perché allora valeva allo stesso modo. Già oggi si inizia a parlare (così come delle facoltà universitarie) di serie A e serie B, di università virtuose e inesperte, di sacre e di profane, di probe e di nefande.
Tutti i salmi finiscono in gloria, insieme al Conservatorio di musica. Anch’esso, in tutti questi anni, un po’ sfigato e accoppiato «nella salute e nella malattia, nella buona e nella cattiva sorte» all’Accademia, ha subito un’«evoluzione universitaria» che lo porterà al divorzio dalla fedifraga Accademia di belle arti [d]evoluta a università. Ma si sa, le malelingue! Vi ricordate, in quei tempi andati, quando, finita la giaculatoria delle definizioni scolastiche «di ogni ordine e grado», si arrivava al fatidico: «le Accademie di belle arti e i Conservatori di musica». Come a dire: «Pazienza, ci sono anche loro… Ma non sono, in fondo, granché!». All’Accademia, tuttavia, per ben quattro anni mi sono dannato, tra le altre cose, sopra le sudate carte (e tanti disegni) per gli esami di Anatomia artistica. Un esame all’anno, per non farmi mancare niente, tenuto dal direttore della Clinica ortopedica dell’ospedale (uno a caso). Nella scuola riformata (o deformata?) Anatomia artistica non esiste più. Dapprima, declassata dall’insegnamento di un biologo a quello di un insegnante di Discipline pittoriche. Poi, esclusa definitivamente in quanto insegnamento desueto e ormai fuori da ogni logica artistica contemporanea. Sia pure in Italia, dove (purtroppo?), attaccati ai muri di quasi tutte le contrade, vi sono vecchie rappresentazioni figurative che pretendono (o pretendevano?) la conoscenza dell’anatomia.
Il concetto di laboratorio (quello tolto all’Istituto d’arte di felice memoria?) è stato inserito nel liceo riformato. Ma allora qualcosa contrasta, come le ombre cinesi (sarà l’effetto dell’indirizzo di Scenografia appena varato?): organizzare un laboratorio di qualsiasi specie artistica costa! A meno che non sia un laboratorio di idee. Ma anche la «tempesta di cervelli» ha un prezzo! Per quel che concerne le Discipline plastiche e scultoree, sono presenti nei primi due anni di tutti gli indirizzi del nuovo Liceo artistico (arti figurative, architettura e ambiente, audiovisivo e multimediale, design, grafica, scenografia). Con un orario di 3 ore settimanali. Ci vuole tanto impegno per progettare una cosa del genere! Si è passati dalle 8 ore del (ormai aborrito) corso tradizionale (4 anni), alle 6/4 ore del corso sperimentale (5 anni = 2+3) e alle 3 ore del Liceo artistico riformato (5 anni = 2+2+1), sperando che santo Buonsenso ci faccia la grazia!
Restrizioni su restrizioni, quindi, comprese quelle potenziali «Attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo» del nuovo ordinamento della scuola riformata, al cui interno le Discipline plastiche e scultoree sono proposte con un «e/o» in alternativa (e non in parallelo) a Discipline pittoriche. Alternativa che riporta pari pari le dispute antiche sul primato delle arti e, se non trapelasse l’incompetenza di chi ha messo mano a questa (contro)riforma, verrebbe quasi da chiedersi se non l’abbia fatto sulla falsariga della disputa che Benedetto Varchi, a suo tempo, aveva provocato nel mondo dell’arte. In alcuni indirizzi artistici, che non siano specificatamente figurativi, Discipline plastiche e scultoree scompaiono definitivamente dopo il primo biennio. Michelangelo? Chi era costui?
A mo’ di conclusione e dando uno sguardo generale sulla scuola artistica italiana riformata, constatiamo la restrizione delle ore di Discipline artistiche, la conseguente perdita di posti di lavori (hai visto mai?), i programmi ministeriali redatti come se i tagli orari non fossero mai avvenuti, anzi! Quindi, l’obbligo di realizzare una didattica furente, veloce, che deve, per forza di cose, raggiungere gli obiettivi prefissati in una proporzione inversa (e spropositata) tra monte ore disponibile e programmazione prevista. Chi se ne importa se tutto ciò porterà, inevitabilmente, a perdere lungo il cammino quegli studenti che, per un motivo o per un altro, tale corsa non potranno affrontare! Con una tendenza, sulla carta, a una «disumanizzazione» della didattica, votata, per forza di cose, alla competizione feroce e alla «produzione», invece che tendere soltanto allo studio consapevole e, potendo, alla solidarietà.
L’immagine: in apertura, raffigurazione satirica dell’ex ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini (fonte: http://www.flickr.com/photos/37091052@N05/4095093061/; uploaded by PanchoS; autore: Sinistra e Libertà).
Francesco Cento
(LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
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